domenica 24 novembre 2013

I bevitori di tuba sotto le Chocolate Hills

Sono tra colline di cioccolato. Il pomeriggio allunga le ombre sotto il sole dei tropici, permettendo di ammirare dal basso questi monumenti naturali. Il cammino prosegue in modo quasi casuale, raschiando con le infradito terra e sassi della strada di campagna, in attesa di gustare il tramonto dall'osservatorio liberato dai turisti. Dopo aver passato alcuni campi coltivati a riso mi avvicino ad una serie di case. E qui avviene l'incontro.
Proprio da queste sparute case di legno e cemento e dai tetti in lamiera, immerse in un panorama dove basta chiudere gli occhi, girare su se' stesso ed aprirli a caso per trovarsi sempre al cospetto di stupefacenti colline perfettamente coniche, incontro Cos, Fran e Jerome. In quel preciso momento Fran non aveva bisogno di girare su se' stesso perché la testa gia' girava per conto suo.
Passo una casa, saluto una signora intenta ritirare i panni, passo la seconda, saluto un giovane uomo, capelli corti, viso gentile ed esperto, corporatura quasi esile, sicuramente non un agricoltore. L'uomo mi si avvicina e mi chiede cosa faccio in quel posto. La sua giovialita’ mi stimola a parlare. Dopo pochi istanti sono sotto la tettoia della sua casa. Qui conosco Jerome, naso schiacciato, bocca larga, poche parole, cordiale, e Fran, 19 anni, il quale studia nell'accademia di Tagbilaran per diventare poliziotto. Stanno bevendo tuba. Tutti e tre. Da un contenitore di plastica bianca ormai semivuoto versano il liquido marrone in un bicchiere e, a turno, ingurgitano il suo contenuto. Dopo le Chupresentazioni, il primo gesto di Cos e' quello di offrirmi un bicchiere di quel vino di cocco. Ovvio. Scherzando dico: "Cos'è, veleno?" Loro ridono. Bevo il bicchiere di tuba/arrak casereccia a basso contenuto alcolico. Cos mi racconta che era fotografo ufficiale nel luogo più turistico delle Chocolate Hills, ma per qualche incomprensibile ragione ora non gli stanno rinnovando la licenza. Cos, 33 anni, sposato con un'insegnante di scuola secondaria, entra in casa ed esce orgoglioso con la sua bambina. Fran abita con la famiglia a pochi chilometri da Carmen; mi decanta con orgoglio la bellezza di quei posti e la generosita' dei suoi abitanti. Dice che Dio ha modellato le splendide colline che ci attorniano. Vengo apprezzato perché conosco diverse parole di boholano. Il ventiduenne Jerome, invece,  annuisce in modo controllato. Jerome dimostra almeno dieci anni in più.
Improvvisamente spunta un uomo piccolo che si unisce al gruppo mentre Cos ci scatta le foto. Il tempo passa piacevolmente insieme a quella compagnia, ma devo vedere il tramonto sulle colline dall'alto dell'osservatorio. A fatica riesco a congedarmi dopo aver mangiato una guava del giardino verde di Cos e bevuto un secondo bicchiere di tuba.
Con il cuore che ossequia profondamente questi popoli gentili, velocemente ripercorro il sentiero di terra e mi trovo sulla strada asfaltata che porta su', nella collina-osservatorio di cioccolato. Arrivo sullaCH11 sommita' un po' tardi, in un Paese dove il tramonto giunge sempre troppo presto. Tutti i visitatori sono andati via, tranne una famiglia di indiani dai bambini che parlano a voce alta.
Lassu' il panorama è straordinario: come funghi spuntati in una notte umida, come montagne di sabbia realizzate da gruppi di ragazzini in una gara di fine estate, piramidi di antichi detriti del mare coperte d'erba si ergono CH12nell'orizzonte roseo e pallido.  Misteriose.  Il giorno è finito e, con il morire spurio della calura, gli uccelli della foresta sottostante si muovono e cantano; cantano al cielo, alle nuvole che girano per il mondo e alle colline di cioccolato, rendendo omaggio alla pazienza di Madre Natura. Dalla sommita' di una collina qualcuno canta silente insieme a loro.

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P.S. Il terremoto di magnitudo 7.2 del 15 ottobre ha avuto come epicentro pochissimi chilometri dalle Chocolate Hills. L'osservatorio e' stato distrutto. Diverse di queste colline hanno sofferto gravi smottamenti. La visita avviene un mese prima dell’evento catastrofico.

lunedì 4 novembre 2013

Le colline di cioccolato

No, non sono in un viaggio astrale con sonorita' mischiate ad arte da Teebs, e neppure sto compiendo trip mentali dove attorno a me volano (fiori di) loto. Anche se in questa piccola avventura l'intervento di una sostanza che altera la coscienza c'è stato, le colline di cioccolato esistono veramente e tra poco scrivero' su di esse.
Il bus che ho preso a Carmen, cittadina nel centro dell’isola di Bohol, mi lascia all'entrata della strada conducente alle Chocolate Hills; qui evito, come se non esistessero, le proposte indecenti dei mototaxisti proseguendo diritto la strada boscosa. Non so bene a quale modesta altitudine ci troviamo, comunque una brezza benefica accompagna il mio camminare solitario.CH1
Avanti mi attende la biglietteria di questo monumento naturale nazionale, pago i 50 piso (pesos) dell'entrata e sono nel cuore delle protuberanze di cioccolato. Invece di guadagnare la collina sulla quale si dirigono tutti i visitatori, decido di prendere una stradina sterrata che passa in mezzo e sotto queste piramidi naturali, una via che porta verso boschi e sporadiche abitazioni.
Dopo aver condiviso del suo fresco respiro, la fitta selva si apre repentinamente davanti CH2alla prima collina: un cono perfetto di roccia calcarea coperto da basse piante erbacee di colore marrone si presenta alle mie iridi. La base di questo cumulo antico di detriti marini pullula di vegetazione; sopra, invece, domina il silenzio del vento che si insinua nell'erba uniforme. Piu' tardi un filippino di nome Fran mi avrebbe detto che l'assenza di conformazioni arboree sulle Chocolate Hills è determinata da Dio, ma Fran era davvero in stato di alterazione mentale. Un poco.
Proseguendo il cammino, sulla sinistra rispetto alla collina vedo campi coltivati a mais e pascoli punteggiati da palme da cocco e piante di agrumi. Passato il primo promontorio la visuale si amplia, permettendo di ammirare altre due perfette colline quasi attaccate tra loro; sarebbe eccitante percorrere lo stretto passaggio che le separa, peccato che la foresta impedisca di farlo. La luce ormai obliqua delle quattro del pomeriggio mi fa assaporare meglio ilCH3 panorama arricchito dalla presenza di un solitario bufalo e da una moltitudine di libellule che galleggiano sui cespugli e nei prati.

giovedì 10 ottobre 2013

Avversita' filippine

Il volo della Cebu Pacific proveniente da Taiwan arriva a Manila quasi puntuale. Penultimo viaggio con questa compagnia a cui è vietato volare in occidente causa scarsa sicurezza. La mattina ancora giovanissima sotto i suoi cieli foschi mostra campi con case allagate. Manila e parte di Luzon sono attraversate da una lunga tempesta tropicale, in oscura, fatalista, attesa del tifone che da Formosa si dirige verso sud-est. L'ho anticipato di poco.
Tra due ore ho la coincidenza per Cebu. A differenza dell'andata adesso devo ritirare il bagaglio di stiva per reimbarcarlo. Ci sara' un motivo...
La ragione la scopro presto. Il mio volo è stato cancellato e nel caos del piu' grande aeroporto del paese riesco ad ottenere un aereo con partenza un'ora e mezza dopo il previsto. Vago senza meta tra gente in preda ad una moderata ansia e negozi illuminati male. Dalle grandi finestre l'acqua cola sui vetri. Entrato nella sezione dell'aeroporto dedicata ai voli nazionali mi accorgo che il monitor degli orari non è aggiornato. Ne cerco un altro ma la situazione è invariata. La tempesta e forse qualche altro diavolo d'evento sta bloccando il traffico aereo. Mi dirigo verso la mia presupposta porta d'imbarco ma, anche qui, è pieno di gente in piedi, seduta su poltrone o sul pavimento in attesa di qualche indizio. I programmi di raggiungere oggi l'isola di Bohol stanno rapidamente sfumando. Accendo il lettore musicale sul pezzo See Thru to U.
Dopo sei ore di attesa, reclami accalorati di passeggeri, stanchezza, un inedito ristoro offerto dalla compagnia aerea, riesco a salire in aereo. Spero che tutto vada bene, adesso.
PieIn effetti tutto fila liscio, compreso l'atterraggio in una Cebu benedetta dal bel tempo. Sono le 16 quando arrivo al molo numero quattro nella speranza di prendere il ferry delle 18:30 per Tagbilaran, Bohol. E qui mi imbatto collateralmente in una delle tante disgrazie che funestano le Filippine: tre giorni fa, di sera, il ferry St. Thomas Aquinas davanti alle coste di Cebu city si è scontrato con una nave cargo, producendo un disastro ecologico con fuoriuscita di gasolio e la morte di piu' di 100 persone. Per questo incidente la navigazione notturna è temporaneamente interrotta. Mi rassegno a rimanere a Cebu, acquistando subito la prima traversata del giorno dopo, alle 6 del mattino.
Il giorno seguente mi sveglio alle 7. Non ho sentito la sveglia. Stanchezza assoluta. Impreco. Esco dalla guest house per la colazione, due spese, poi recupero lo zaino e da Cebu downtown raggiungo a piedi il molo. Il ferry veloce delle 9:20 per Bohol mi attende. L'aver perso il viaggio delle 6 mi costringe a pagare una penale di 100 piso. Con umore acido salgo sull'imbarcazione. Quasi subito un coppia di filippini tentano di conversare con me. Rispondo a monosillabi. Sono marito e moglie residenti a Cebu city che si  concedono una breve vacanza nella rinomata isola di Panglao, Bohol.
Presto cominciamo a parlare del disastro navale. Mentre la signora mi sta informando Crasriguardo la dinamica dell'incidente, il marito mi indica un punto nel mare dove sono ormeggiate diverse imbarcazioni. Come se niente fosse accaduto, il ferry passa molto vicino al luogo della sciagura: nella grande macchia d'olio che si estende nell'acqua, diversi sommozzatori sono ancora alla ricerca di corpi dispersi. L'odore di gasolio impregna l'aria marina.
Piu' in la', nell'orizzonte screziato avvolto dall'umidita', si distinguono sagome di isole; il sole sopra le nuvole tenta di illuminare un mondo che non conosco.

mercoledì 18 settembre 2013

In cammino a San Francisco

Carico lo zaino sulle spalle, saluto la famiglia che mi ha ospitato e sono in strada. San Isidro e' un piccolo paese di pescatori a sud di una delle isole Camotes. Due giorni qui passati a nuotare tra pesci e coralli che un tempo erano numerosi, la sera sotto la pensilina insieme a taciturni isolani imbarazzati dalla presenza di uno straniero.
Alle 6:30 il sole gia' forte illumina i passi sul nastro di asfalto e cemento, guidando le esperte infradito lungo i cinque chilometri che portano a San Francisco. Dopo una salita e la zona delle scuole sono fuori dal paese. La strada è mia. Nelle Camotes le moto sono il mezzo di trasporto piu' diffuso; pochissimi tricicli, jeepney o automobili.
Il camminare e' per i piu' poveri, quindi Cmotcammino; alla destra si muove il mare e nell'entroterra scivolano colline, case e campi coltivati. Le gambe mi guidano alla ricerca dell'ombra degli alberi, i pori della pelle -piu' allargati che mai- portano il sudore all'aria. Gli occhi cercano nuvole nel cielo azzurro. Questa espiazione volontaria e' ampliamente appagata dai suoni della natura: uccelli migrano da un ramo all'altro quasi seguissero precisi riti antichi, trasmettendo articolate melodie al mondo circostante. Dalle case la gente prepara la colazione, cuocendo gli alimenti sopra bracieri a legna; signore anziane chine su scopini composti da sottili rami legati tra loro spazzano foglie dalla terra battuta. E poi bambini e ragazzi in tenuta scolastica escono di casa diretti ai luoghi di studio, uomini che mi augurano il buongiorno, donne che sorridono compiaciute perché mi sposto nel modo piu' semplice, sì.
La strada ora si allontana dalla costa, permettendo di osservare le verdi colline disseminate di boschi e rare piantagioni di palma da cocco. Avvicinandomi a San Francisco, il capoluogo dell'isola, osservo che la processione di ragazzi e ragazze con camicia da marinaretto e gonna a quadri si infittisce; quanta strada a piedi compiono ogni giorno questi giovani.
Alzando le abbagliate iridi al cielo sembra che i vani desideri del sottoscritto vengano per una volta esauditi: grasse nuvole compaiono dalle colline portando ombra e qualcosa che assomiglia al refrigerio. Ma le nubi diventano sempre piu' nere, tracimando così nel temporale. Prima che la pioggia si infittisca sono sotto la tettoia di una signora che vende materiale scolastico e generi alimentari. Presso quel riparo trovo due ragazze e un bambino. Dagli occhi di una delle due studentesse intuisco che vorrebbe sapere cosa faccio lì e da quale vicolo ramingo del mondo provengo. Anche se la sua timidezza fosse vinta e le domande poste, probabilmente queste non troverebbero risposta, perché risposte non sempre ci sono. Le cose andarono come dovevano andare ed il mio cammino a San Francisco continuo' dopo la pioggia.
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