venerdì 21 settembre 2012

Immerso tra le piantagioni di the a Ceylon

Una bancarella di frutta, un venditore di biglietti della lotteria, la panetteria, il negozio di vestiti, e dall'altra parte il traffico violento e rumoroso delle sette del mattino. Caldo? Dopo mesi di temperature elevate i 600 metri di Kandy sono un moderato paradiso. Mi sto apprestando a lasciare la bella citta' dell'estremo nord del Hill Country per andare piu' in alto e piu' a sud.
Questa mattina (quasi) come al solito: sveglia all'alba, ginnastica, bagaglio e decine di minuti a piedi evitando accuratamente le proposte dei conducenti di tuk tuk.
Attraverso parte della caotica stazione dei bus e salgo sul minivan espresso delle 6:50 per Nuwara Eliya, verso le piantagioni di the piu' famose del globo.
Dapprima la strada non differisce molto da quella percorsa per raggiungere Kandy: curve e saliscendi, case o chioschi, animali, e scatole a motore che usano il clacson. Dopo un paio di cittadine per nulla interessanti si comincia  a salire, e dai 900 metri di altitudine, terminati una serie di scavallamenti collinari, vedo pendii e pendii IMG_6442tappezzati ordinatamente a cespugli di the. Il sole illumina il verde intenso e vivace delle piante poste sempre in pendenza e associate a qualche albero. Le coltivazioni sono posizionate con estrema cura, rispettando le curve di livello.
Ora la strada e' circondata da alberelli di un metro con grossi tronchetti, un poco simili ai bonsai. Tra le piante che producono la bevanda piu' diffusa scorgo i movimenti fluidi dei raccoglitori; si spostano  tra unIMG_6441 cespuglio e l'altro muovendo velocemente le mani, prelevando i preziosi germogli verde chiaro. A queste donne e uomini di etnia Tamil pagati una miseria sara' concesso di bere soltanto gli scarti, la polvere, del loro raccolto. Le pregiate foglie essiccate -le Silver, le Orange Pekoe o Green- sono destinate prevalentemente al mercato straniero.
Il minibus si arrampica su nuove colline, le cui basi sono ricche di orti e punteggiate da qualche casa coperta da tetto in lamiera. I 1800 metri di Nuwara Eliya non sono distanti.
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sabato 1 settembre 2012

Infinite possibilita' filippine: le Jeepney

Se nell'arcipelago delle mille isole le varianti di tricicli a motore sono diverse, per le jeepney le cose cambiano. La loro origine pare provenga da una modifica in lunghezza delle jeep militari statunitensi. Infatti, sebbene abbia visto alcuni vecchi SUV adattati, la maggioranza  di questi mezzi conserva il muso della jeep ed una parte posteriore dedicata al trasporto passeggeri IMG_6268moolto allungata, come fosse stirata.
Il mio primo incontro con una jeepney e' stato un incontro significativo: 5:30 del mattino, sotto la luce rovente dell'alba, stanchissimo, ho visto questo mezzo bianco, lungo, cromato, lucente di adesivi e con una scritta: "Full air conditioned”; dopo pochi minuti volavo verso il terminal di Dau con le iridi assonnate impregnate di immagini di campagna che scivolavano tra i finestrini.
La maggioranza delle jeepney non hanno aria condizionata ma, come per i moto-tricicli, sono molto curate dai loro proprietari. Il driver accanto a se' puo' ospitare due passeggeri, mentre nel cassonetto posteriore si allungano due panche imbottite sulle quali arrivano a starci piu' di venti individui. Come per altri luoghi del terzo mondo, la fermata e' a richiesta; basta avvisare il conducente o suonare il campanello posto nell'abitacolo posteriore.
A differenza dei pick-up modificati per il trasporto pubblico che si possono trovare in Thailandia, le jeepney sono un'unica struttura comunicante dove i passeggeri pagano il driver alla fine del loro percorso.
I tricicli e le jeepney sono cromati, colorati eIMG_6316 ancora cromati di brillante acciaio, colme di insegne, di stemmi, di simboli religiosi e luci personalizzate posizionate con estrema cura, senza mai eccedere come nei micros boliviani. Come negli scalcinati micros cruzeños  http://travel-ontheroad.blogspot.it/2011/06/cavalcando-i-bus-di-santa-cruz.html, i tricile e le jeepney sono forniti di potenti impianti stereo che quasi sempre sparano musica occidentale (i boliviani ovviamente vanno a sonorita' latinos). Nelle affascinanti jeepney l'amplio spazio sulla carrozzeria e' utilizzato per indicare il percorso del mezzo, altre volte per grosse scritte come; "Gomez Family", o "God Bless". Nei percorsi brevi e medi le jeep allungate fanno concorrenza ai tricicli e, quando esistenti, ai bus o ai minivan pubblici. Un mezzo popolare e caratteristico difficile da scordare.
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lunedì 27 agosto 2012

Infinite possibilita' filippine: i Tricicle

Una memoria particolare da questo viaggio la dedico ai tricicli e alle jeepney nell'ambito dei mezzi di trasporto nel sud-est asiatico, in particolare nelle Filippine. Mentre i tuk tuk, autoriscio' o tricicli a motore sono molto diffusi -con le molteplici specifita' da paese a paese-, le jeepney sono un'invenzione dell'arcipelago in cui ora mi trovo.
I tricicli consistono in una moto di media cilindrata, prima era giapponese ora di fabbricazione indiana o cinese, alla quale viene fissata lateralmente una struttura diIMG_6264 metallo, come fosse un sidecar di dimensioni estese. Anche in questo caso la fantasia si declina in diverse forme di costruzione del sidecar; il tricicle che piu' apprezzo e' cosi' costituito: davanti due comodi posti a sedere e dietro due panche di legno imbottito ospitano fino a quattro persone. Con questa conformazione un tricicle puo' trasportare fino sette passeggeri (il settimo si siede lateralmente sulla sella della moto) escluso il driver!
Oltre che in lunghezza e larghezza, l'imponente struttura del tuk tuk filippino si sviluppa in altezza, in quanto e' previsto un tettuccio che copre i passeggeri (sopra il quale si possono posizionare ulteriori bagagli o mercanzie) fino ad arrivare a proteggere da sole e pioggia la moto del conducente. Il sidecar e' inoltre provvisto di paraurti e altre squisitezze che andro' raccontando.
Come puo' una moto di modesta potenza, progettata per il trasporto di due individui, IMG_6334riuscire a trascinare pesi cosi' atroci? Da quello che ho capito l'unica modifica effettuata sulla maggioranza dei tricicli e' quella di porre un doppio ammortizzatore sulla ruota posteriore della moto. Nulla piu'.
Cosi' li vedi sfrecciare rumorosamente tra le vie di citta' e paesi, intrufolandosi tra auto e camion, rilasciando generose dosi di fumo dal tubo di scappamento.
I tricicli servono anche per il trasporto di oggetti, tra i quali ricordo una serie esagerata di pali di bambu' lunghi almeno sei metri ciascuno.
La parte posteriore e quella anteriore del sidecar, oltre a contenere scritte e figure religiose analoghe alle piu' grandi jeepney, molte volte emula il muso ed i fanali posteriori di auto pregiate come Ferrari o Mustang.
I padroni dei tricicli sono gente allegra, cordiale, orgogliosa del proprio mezzo e della licenza di trasporto che hanno ottenuto a caro prezzo; a volte esagerano sparando prezzi alti per una corsa, ma raramente sono ossessivi come i loro colleghi indiani. Se i tricicle li percepiamo particolari, le jeepney sono marchingegni straordinari. E precisamente di marchingegni fuori dall'ordinario ne parleremo nel prossimo dispaccio dalle Filippine.
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mercoledì 22 agosto 2012

In prigione a Vigan, Filippine

 

Come per altri paesi la domenica e' un giorno speciale, ma nelle Filippine sembra che lo sia ancora di piu'. La partecipazione al rito della messa e le esposizioni sociali offerte prima, durante e dopo di essa, portano gli individui a vestirsi in modo accurato, farsi osservare ed osservare, incontrare persone, chiacchierare, sentirsi parte di una comunita', celebrare un evento, pregare e invocare la Trinita' ed i santi, toccando le IMG_6313statue consumate e, infine, concedersi un gelato o una birra in compagnia. Un momento di festa. Un giorno importante anche per i carcerati della prigione di Vigan che ho avuto modo di visitare in questo modo.
Dopo essere stato investito dallo sciame allegro dei fedeli al termine della messa nella cattedrale, costeggio plaza Salcedo, tocco uno slargo che porta ad un museo, quindi sulla destra vedo un grosso stabile coloniale. Quasi per caso mi dirigo in direzione di quest'ultimo e, quando ormai ne sono in prossimita', mi accorgo che si tratta della prigione di Vigan. Davanti al portone d'entrata e' posizionata una scrivania e li' e' seduto un uomo in borghese. lo saluto, lui risponde, e da qui cominciamo a parlare.
Con in corpo il valzer sintetico di Galaxy in Janaki del maestro Flying Lotus, attorniato dal caldo disarmante della prima mattina tropicale, sotto immensi alberi con chioma a cespuglio, il signore mi racconta la storia dell'istituto penitenziario e le avventure di alcuni reclusi. Poi mi chiede se voglio entrare. Certo. Oltre un massiccio portone di legno si procede per un atrio dove ai lati ci sono uffici e stanze con varie funzioni; di fronte a me vedo un'altra porta che conduce alle celle. Prima di questa entrata su una lavagna sono segnati in inglese il numero di reclusi ed il sesso: Cella 1, 30 persone; Cella 2, 17; Cella 3, 31. 61 uomini e 17 donne. Varchiamo la seconda porta apparentemente non controllata dietro la quale appare l'entrata della cella 3, una grande scritta consumata su un muro che recita "Welcome" e due cortili laterali interni. Da uno di questi provengono canti melodiosi. Si', un paio di sacerdoti stanno celebrando l'Eucaristia insieme ai detenuti. Quando chiedo al mio interlocutore se tutti gli ospiti stanno partecipando, lui risponde con una -per lui- scontata affermazione. Dai comportamenti sinceramente affabili della mia guida sembra che il clima all'interno del penitenziario sia piu' che discreto, anche se su questo non potrei giurare.
Dopo diversi minuti di visita sono fuori, in strada, conservando accuratamenteIMG_6318 immagini e volti e rituali pacifici di un luogo particolare di Vigan, affascinante cittadina del nord Luzon, Filippine.

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