mercoledì 22 agosto 2012

In prigione a Vigan, Filippine

 

Come per altri paesi la domenica e' un giorno speciale, ma nelle Filippine sembra che lo sia ancora di piu'. La partecipazione al rito della messa e le esposizioni sociali offerte prima, durante e dopo di essa, portano gli individui a vestirsi in modo accurato, farsi osservare ed osservare, incontrare persone, chiacchierare, sentirsi parte di una comunita', celebrare un evento, pregare e invocare la Trinita' ed i santi, toccando le IMG_6313statue consumate e, infine, concedersi un gelato o una birra in compagnia. Un momento di festa. Un giorno importante anche per i carcerati della prigione di Vigan che ho avuto modo di visitare in questo modo.
Dopo essere stato investito dallo sciame allegro dei fedeli al termine della messa nella cattedrale, costeggio plaza Salcedo, tocco uno slargo che porta ad un museo, quindi sulla destra vedo un grosso stabile coloniale. Quasi per caso mi dirigo in direzione di quest'ultimo e, quando ormai ne sono in prossimita', mi accorgo che si tratta della prigione di Vigan. Davanti al portone d'entrata e' posizionata una scrivania e li' e' seduto un uomo in borghese. lo saluto, lui risponde, e da qui cominciamo a parlare.
Con in corpo il valzer sintetico di Galaxy in Janaki del maestro Flying Lotus, attorniato dal caldo disarmante della prima mattina tropicale, sotto immensi alberi con chioma a cespuglio, il signore mi racconta la storia dell'istituto penitenziario e le avventure di alcuni reclusi. Poi mi chiede se voglio entrare. Certo. Oltre un massiccio portone di legno si procede per un atrio dove ai lati ci sono uffici e stanze con varie funzioni; di fronte a me vedo un'altra porta che conduce alle celle. Prima di questa entrata su una lavagna sono segnati in inglese il numero di reclusi ed il sesso: Cella 1, 30 persone; Cella 2, 17; Cella 3, 31. 61 uomini e 17 donne. Varchiamo la seconda porta apparentemente non controllata dietro la quale appare l'entrata della cella 3, una grande scritta consumata su un muro che recita "Welcome" e due cortili laterali interni. Da uno di questi provengono canti melodiosi. Si', un paio di sacerdoti stanno celebrando l'Eucaristia insieme ai detenuti. Quando chiedo al mio interlocutore se tutti gli ospiti stanno partecipando, lui risponde con una -per lui- scontata affermazione. Dai comportamenti sinceramente affabili della mia guida sembra che il clima all'interno del penitenziario sia piu' che discreto, anche se su questo non potrei giurare.
Dopo diversi minuti di visita sono fuori, in strada, conservando accuratamenteIMG_6318 immagini e volti e rituali pacifici di un luogo particolare di Vigan, affascinante cittadina del nord Luzon, Filippine.

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sabato 4 agosto 2012

Attraversando Mindoro, Filippine

Il giorno arriva con la luce dell'alba e con il suono invadente dei tricicli a motore. Mi trovo a Puerto Galera, una cittadina dell'isola di Mindoro nota per le sue spiagge. Sono gia' in strada, ed in una decina di minuti raggiungo lo squallido spiazzo dove partono i minibus diretti nel sud-est dell'isola. Prima di arrivare al terminal dei van, due conducenti di jeepney mi offrono la corsa per Calapan per venti pesos in meno. Rispondo in modo negativo perche' vedo solo un passeggero sul loro mezzo, mentre in minibus e' semipieno, quindi e' probabile che parta subito.
Dall'ultimo posto del pulmino posso osservare bene il panorama ed i passeggeri. Tranne il driver ed il sottoscritto, il resto dl mezzo e' composto da donne di differenti eta'. Alle 7:30 siamo fuori Puerto Galera, e come compagni abbiamo la strada, il movimento ed immagini di esotico che si tinge lentamente di familiare. Inutile aggiungere parole riguardo l'abilita' (o l'incoscienza) dell'autista il quale guida a velocita' sostenuta, tentando di oltrepassare senza troppi scrupoli ogni ostacolo sul percorso, facendo abbondante uso del clacson come metodo preventivo e di comunicazione. Forse e' la presenza di una corona del rosario legata allo specchietto retrovisore a concedere invulnerabilita' al veicolo.
Il tratto costiero sulla nostra sinistra e' spettacolare: ripide colline colme di vegetazione fanno spazio a lingue di sabbia chiara e mare, contornate da palme da cocco e cespugli. Dopo il sogno impossibile dell'incontro con una isola al contempo deserta e perfetta, quanto sarebbe  attraente esplorare ciascuna di queste baie ed immergersi nell'acqua cristallina scoprendoIMG_6275 la vita che essa offre! Sulla strada scivolano villaggi con tetti di foglie di palma o di lamiera, botteghe semplici, bambini diretti a scuola, magri cani liberi, galline e galli spesso usati per il combattimento in quelle che i filippini chiamano “arene”; oltre grosse piantagioni di palme da cocco vedo boschi e montagne.
Il minibus di ferma saltuariamente  in altri villaggi di case semplici ma arricchite dalla presenza di bambini e piante ornamentali con fiori. E poi chiese color pastello tenute con orgoglio e cura da parte degli abitanti, campi di basket, pubblicita' di sigarette ed alcolici. Il percorso stradale costiero offre molti saliscendi, con improvvise aperture di  panorama verso nuove baie.
In una ora e mezzo sono a Calapan; qui il driver mi accompagna gratuitamente alla partenza dei bus per Roxas, citta' meridionale di Mindoro.
Dopo diversi chilometri con il nuovo mezzo cominciano a farsi spazio pianure coltivate a riso con mezzi meccanizzati o con l'aratro trainato dai buoi e governato da un contadino.
E' molto particolare, eppure nella mente che tenta invano di  comprendere i mondi attraversati, si fanno strada ancora di piu' brezze disorientanti, brezze conducenti a Paesi queridos, come se le Filippine fossero un arcipelago emerso nel mare sbagliato, in acque che si trovano molto piu' a nord rispetto a luoghi dove lo spagnolo ed ilIMG_6252 portoghese sono parlati dalla maggioranza della popolazione.
Le ore passano in modo tranquillo sul minibus che solca asfalto e terra, i volti dei passeggeri cambiano e Roxas si avvicina. Da qui spero di prendere il ferry diretto a Caticlan, isola di Panay, un'altra terra germinata nel mare sbagliato. 

giovedì 26 luglio 2012

Kuala Lumpur viscerale

Kuala Lumpur ti stordisce, annichilisce, distrugge e poi ti ricompone.
Arrivo nella capitale sotto un cielo amorfo del tardo pomeriggio. Il bus mi IMG_6243scarica a Pudu Sentral. Passo dall'aria controllata del mezzo pubblico alla brezza satura di inquinanti e calore della metropoli.
Sono il primo a risalire le scale che portano ai piani superiori della stazione dei bus, dove luccicanti negozi  e uffici delle compagnie di
trasporto vedono passare una veloce figura con uno zaino/bagaglio che pesa meno di nove chili. Le gambe varcano il passaggio sopraelevato del viale Pudu colmo di flusso vitale e cancerogeno del traffico. Dall'altra parte c'e' l'hostel Pudu dove avevo dormito tre anni or sono. No. E' chiuso.
Chiedo conferma ad un corpulento taxista indiano che mi consiglia altri posti situati nella parallela superiore del Pudu. Passo un tempio hindu pieno di confusione e aromi dolci.
Nel primo alloggio che visito, un grosso stabile coloniale, ho due tipi di stanze economiche: con o senza finestra. Le visito: bagno in comune, locali  angusti con ventola a soffitta e pareti di cartongesso, odore di incensi e di corpi silenti. Il terzo hotel e' gestito da indiani. La signora mi porge la chiave per verificare la stanza che possiede muri di mattoni, finestra dalla quale entra il brontolio immortale della citta', televisione, ventola rumorosa, lenzuola con qualche macchia ma pulite, federe a posto, anche se e' meglio rimuovere dagli occhi il colore una volta bianco dei cuscini. IMG_6491Specchio crepato e scrivania con cassetto mancante. I bagni esterni non hanno lavandino, solo un rubinetto sotto il  quale un secchio (ed un contenitore piu' piccolo) servono a diversi scopi tra i quali docciarsi. Appendini arrugginiti e tubi del soffitto a vista. Prendo la stanza.
Fuori e' buio quando cerco un posto dove mangiare. Dal ristorantino malese-indiano pieno di ventilatori si domina una porzione di strada; sulle iridi passano babilonie di etnie e simboli. Scritte in cinese, malese, inglese, coreano, neon sgargianti che illuminano corpi dalla carnagione chiara, meticcia e bruna. Ragazzi vestiti all'occidentale, tudong, canotte, maglie con scritte psichedeliche, cappelli, visi che si specchiano su schermi di smartphone. E poi isolati turisti stravolti dal caldo, spaesati immigrati, genti con storie che sfuggono. Immagini reali ed al contempo cinematiche riconducibili a molte pellicole occidentali. Immagini di perfette convivenze ed impossibili integrazioni tra culture.
Il riso ed il curry sono spariti velocemente dal mio piatto, e la notte di Kuala Lumpur entra piano in questo locale appollaiato sul traffico, dispensando qualcosa che somiglia ad aria meno torrida. E' ora di uscire per muovere quattro passi in direzione della moschea Jamek.
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giovedì 12 luglio 2012

I gatti della Malesia

I felini, quelli piccoli, sono gli animali che incontri piu' facilmente in questo Paese. Nei mercati o nelle stazioni dei bus periferiche, nelle case e nei luoghi piu' impensabili i gatti estendono la loro ubiquita' in ogni dove. Sono tigrati, neri come le pantere che immaginava Salgari, neri variegati rosso, oppure meticci e siamesi dagli occhi limpidi, bianchi con macchie scure o tigrate a scelta; insomma, un un universo colorato che domina queste terre prossime all'Equatore. L'adattamento a climi decisamente caldi ha ricoperto i gatti della Malesia di un manto corto e poco fitto, permettendo di osservare meglio il loro corpo aggraziato: gambe lunghe e sottili con il capo proporzionato al tronco snello. Oltre ad apprezzare una forma ed un movimento che nel mondo animale non ha praticamente uguali, l'essenzialita' dovuta al pelo raso li fa apparire ad un occhio esterno quasi nudi ed ancora piu' magri di quello che sono.
Nella homestay dove sono ospitato scorazzano almeno tre femmine con altrettanti cuccioli. Questi ultimi li vedi giocare muovendo freneticamente zampe piccole e teste enormi sovrastate da orecchie altrettanto pronunciate, poi li trovi distesi sul pavimento esangui, a smaltire l'ebbrezza del gioco conoscitivo e del calore disarmante. Questa famiglia allargata lentamente ha imparato a conoscermi e sempre di piu' apprezza le mie attenzioni nei loro confronti; in particolare un gattino bianco e nocciola stile siamese mi si avvicina mordendo lievemente i bordi delle mie infradito, per poi farsi coccolare quasi a premio per l'azione compiuta. Spesso lo trovo dormiente su una sedia di plastica o in un angolo buio del patio.
L'altro giorno ho visto un maschio tigrato di rosso con testa e collo pronunciati, portante diverse cicatrici di guerre piu' o meno recenti. Ovviamente non ha fatto caso ne' alle femmine ne' ai cuccioli ma si e' diretto verso la cucina nel modo compassato di un ufficiale decorato prossimo alla pensione.
Quando la luce del giorno cede tempo all'imbrunire, quasi per comando alieno gli adulti cominciano a muoversi nel mondo, tornando a prendere effettivo e silente controllo del territorio.
I gatti della Malesia sono magri e minuti, forse per il pelo raso, forse per una non esauriente cura ed alimentazione, ma pare che il loro controverso rapporto con l'invasivo genere umano e con l'universo che li circonda non sia troppo detestabile, anzi.
 
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