venerdì 8 luglio 2011

Le donne della fatica

Da mercoledi’ sto partecipando ad una tre giorni di sostegno alle donne che si dedicano alla piccola impresa agricola, organizzata dalla ONG boliviana CEPAC. Sotto una pioggia frutto dello scontro tra venti caldi del nord e quelli freddi patagonici, le signore arrivano piano piano a gruppi nella sede del CEPAC di Yapacani', cittadina a circa 120 chilometri da Santa Cruz. Ora sono nelafue salone e ascolto Yaque, un'esperta della Casa de la Mujer che coinvolge e stimola le donne a raccontare le loro storie, le difficolta' di essere imprenditrice e donna nelle localita' rurali. Osservo queste signore cosi' diverse tra loro: sono donne giovani e meno giovani, che provengono dalle zone collinari delle preande e dalla pianura tropicale, signore vestite con la gonna voluminosa, i sandali e i capelli neri intrecciati secondo le loro origini dell'altopiano, ragazze dalla pelle chiara in jeans e scarpe da tennis. Donne che non hanno paura. Anche se sono cosi' eterogenee tra loro, tutte rivendicano l’urgenza di assumere un maggiore ruolo nella societa' boliviana. Ascolto parole come perseveranza, responsabilita', compassione, partecipazione, onesta', mentre fuori la pioggia cade sulle piante di mango, sui cespugli e l'erba delsal giardino, con galline libere che zampettano indisturbate.
Ieri sera Trinidad, una signora con il volto scolpito da rughe profonde, raccontava la sua storia, la sua vita di giovane donna proveniente dai climi secchi all'altopiano catapultata a coltivare la terra nella selva tropicale con strumenti arcaici insieme al marito ed un figlio piccolo, in un lotto senza vie di accesso offerto loro dallo stato. Per muoversi avevano solo sentieri tra alberi alti ed una vegetazione dimenticata che ora si rifugia sempre piu' tra le montagne o nelle riserve naturali.
Insieme ad un altro signore siamo gli unici uomini presenti in questa sala, eppure qui, avvolto nell’energia di queste donne con le mani segnate dalla fatica e dalle difficolta’, mi sento troppo a mio agio.

venerdì 24 giugno 2011

Cavalcando i bus di Santa Cruz

Esco dalla casa di Miriam, chiudo il cancello con lucchetto e sono sulla strada. Subito il vento caldo del Norte mi investe, lambendo insieme a me i bus e le persone, i cani raminghi e gli alberi dei giardini. Cammino con passo veloce lungo questa strada tranquilla di quartiere formata da case basse con tetti di tegole; oltrepasso alberi di ibisco colmi di colori e palme che si piegano al vento. Nella via pavimentata ci sono un po' di rifiuti attorniati da sabbia delle Ande trasportata fin qui dai tanti fiumi che corrono verso il Mato Grosso.
Fuori dal quartiere i sensi sono investiti dal traffico del tercer anillo externo e dal grande mercato della Mutualista. Donne dell'altopiano sotto le loro bancarelle mobili vendono di tutto: dalle custodie per i cellulari alla verdura, dal pane fresco alla biancheria intima. Dopo aver chiesto il prezzo mi fermo a bere un succo di arancia spremuto al momento. Tre pesos, il suo costo.
Raggiungo velocemente il tercer anillo interno e sono pronto per prendere il bus. Quasi subito arriva il numero 74, il mio. Un micro 74cenno della mano e salgo. Questi micros sono corti e bassi, quindi mi tocca per qualche minuto rimanere in piedi con la testa piegata in attesa che qualcuno scenda. Dopo poco si libera un posto dietro al conducente; dalle sue spalle senza collo vedo quello che succede nella strada. Auto bianche dei taxi si intercalano a jeep, camion e tanti altri micros. A Santa Cruz ci sono poche moto e nessuna bicicletta.
Il mio sguardo rimpicciolisce la prospettiva per muoversi all'interno del bus: il cruscotto è foderato da una copertura in pelle marrone con frange stile cowboy, la sua strumentazione e' distrutta, logora, usata e ancora usata. Un portamonete di legno appiccicato non so' come suddivide secondo il valore i soldi ricevuti dai passeggeri; le banconote sono conservate in due distinte tasche di plastica. I pulsanti fondamentali come clacson e luci chissa' da quale reperto elettrico alieno provengono! Nella carrozzeria anteriore un buco nel metallo fornisce ulteriore areazione e -con essa- ci porta il fumo degli altri veicoli e la sabbia dello sterrato a lato delle strade. Sulle pareti del bus campeggiano una serie di autoadesivi di Topolino e macchie rosse casuali di una antica vernice.
I minuti passano e con essi gente di tutti i tipi: bianchi con in mano cartellette, signore piccole e tozze con vestiti dell'altopiano, meticci carichi di borse, persone povere e meno povere, donne con bambini piccoli in braccio. Umanità viaggiante.
Ora il sole riscalda con forza l'interno del bus mentre il guidatore si ferma ogni momento per raccogliere o scaricare gente. Tra poco arrivero' nella sede del Cepac, una ONG boliviana che lavora nel nostro progetto Centinelas de la Biodiversidad. Anch'io mi faccio lasciare dal micro nel punto piu' prossimo alla destinazione.
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lunedì 13 giugno 2011

Santa Cruz de la Sierra - La Casa

Io sono, lo vedi, un cavaliere che cerca ciò che non può trovare. Molto ho cercato e nulla trovo.
C. de Troyes

Mi trovo nella Casa de la Mujer -la Casa della Donna- e nella sua radio Alternativa dove ho incontrato e parlato con signore che lavorano per migliorare i quartieri periferici di Santa Cruz de la Sierra, dove vivono. Stanno registrando un programma riguardante il loro impegno sociale e la discriminazione di genere. Sono donne espansive, dirette, senza peli sulla lingua, e dai loro occhi traspare il peso di una vita dura. Dal loro corpo deformato esce la fatica, i tanti parti avuti, la disillusione nei confronti di uomini all´inizio corteggiatori ma poi violenti e molesti. Signore che respirano la difficolta´ ogni giorno, combattendola con l´arma dell´impegno sociale.casam
Accanto a noi c'erano delle ragazze e un ragazzo che preparavano una dimostrazione sull’identita' femminile che si svolgera' nella piazza principale di Santa Cruz. I cartelli e i loro travestimenti che testimoniano contro la donna come puro oggetto sessuale sono molto, molto espliciti.
Con la stessa radio prepareremo e manderemo in onda una serie di programmi di educazione ambientale previsti dal nostro progetto di cooperazione internazionale.
Miriam, colei che ha dato vita a questa articolata struttura di accoglienza e informazione, in questi primi giorni mi sta ospitando nella sua casa che si trova fuori dal tercer anillo della citta' che conta quasi due milioni di abitanti.
Questi fermenti virulenti mi trasportano nel tempo migliore.
Qui ci sono sempre stato...

giovedì 7 aprile 2011

Spaesante primavera

L'asfalto era duro, quasi adamantino. Ewan camminava sopra di esso, e in giro, dentro, attorno, scorreva la grande citta'. Brividi di irrequietezza circolavano attraverso il suo corpo ad ogni passo, sulla strada, e un alito di spaesamento gli volteggiava intorno.
Pensava all'ultimo luogo perduto che ora si raccoglieva nella memoria: il bosco, la baita con le travi di larice, gli animali liberi e l'aria. Se ne ando' quando anche in alto era nata la primavera. Non c'erano motivazioni che lo avevano portato ad abbandonare la montagna: stava a suo agio nella solitudine del rifugio; semplicemente era venuto il momento di fare altro, di cavalcare un successivo ed incostante altrove. E poi lassu' veniva a trovarlo qualche valligiano con il quale compartiva pastose parole e silenzi significanti. Nel panorama risoluto che li circondava discorrevano di stagioni o di tempo, di incontri e di persone. E qualche volta parlavano di scelte impossibili.
La memoria lo faceva tornare a quel momento in cui si accorse che la primavera aveva minato l'assolutismo invernale. Vedeva i colori dell'erba che stavano virando dal giallo paglia ad una specie di verde, notava l'ingrossamento delle gemme di alcuni alberi, e sentiva gli animali agitati, ma la cosa piu' straordinaria accadde una sera. Ewan era uscito dalla baita per raccogliere la legna dal ripostiglio quando, con il cesto tra le mani ed il naso e la pelle che guardavano verso il tramonto scomparso, capì che qualcosa nell'aria era mutato: era un odore dolce indescrivibile, un aroma di caldofresco che anticipa la pioggia, quell'odore per cui inaleresti una vita e poi ancora. Perché lo sai cosa viene dopo.
Rimase per alcuni minuti fermo e gioioso, cercando inutilmente di decifrare il fluido che l'aria, attraverso le narici, gli portava al cervello. Una primavera stava timidamente aprendo la porta.

La montagna era uno dei tanti passaggi che Ewan aveva esperito, l'ultimo di una interminabile serie. Ora nella citta' ritrovava tracce di spaesamento che aveva conosciuto dopo due anni passati in Asia. In questo conglomerato di asfalto aveva vissuto p-smolto tempo, conosceva le vie, i quartieri e le persone, sapeva dei negozi e dei loro odori. Ewan percepiva il tutto contemporaneamente familiare ed estraneo, riconosceva l'ambiente ma non trovava piu' il suo significato quasi lo avesse dimenticato o appartenesse ad altri. Così si muoveva, tra certezze e ricamate stonature imitanti sonorita' lisergiche alla Hackett.
Ad un certo momento si fermo' davanti alla vetrina di un grande negozio di libri. Dopo aver osservato i titoli, guardo' la gente che si muoveva tra gli scaffali, e infine gli occhi focalizzarono la sua figura riflessa nella vetrata. Vide una persona robusta e slanciata, che non riusciva -o non voleva- trovare il suo futuro, un corpo imbevuto di irrequietezza nomade alla ricerca perenne del sentiero: l'invincibile e avversa strada delle possibilita', l’inutile percorso dello scopo.
Se mai fosse arrivata, la primavera in citta' era ormai lontana, e lui alieno in mezzo a volti sconosciuti, con addosso frammenti impalpabili di se stesso. Attraverso e nonostante questa apparente confusione, il futuro gli ammiccava ancora.

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