lunedì 13 giugno 2011

Santa Cruz de la Sierra - La Casa

Io sono, lo vedi, un cavaliere che cerca ciò che non può trovare. Molto ho cercato e nulla trovo.
C. de Troyes

Mi trovo nella Casa de la Mujer -la Casa della Donna- e nella sua radio Alternativa dove ho incontrato e parlato con signore che lavorano per migliorare i quartieri periferici di Santa Cruz de la Sierra, dove vivono. Stanno registrando un programma riguardante il loro impegno sociale e la discriminazione di genere. Sono donne espansive, dirette, senza peli sulla lingua, e dai loro occhi traspare il peso di una vita dura. Dal loro corpo deformato esce la fatica, i tanti parti avuti, la disillusione nei confronti di uomini all´inizio corteggiatori ma poi violenti e molesti. Signore che respirano la difficolta´ ogni giorno, combattendola con l´arma dell´impegno sociale.casam
Accanto a noi c'erano delle ragazze e un ragazzo che preparavano una dimostrazione sull’identita' femminile che si svolgera' nella piazza principale di Santa Cruz. I cartelli e i loro travestimenti che testimoniano contro la donna come puro oggetto sessuale sono molto, molto espliciti.
Con la stessa radio prepareremo e manderemo in onda una serie di programmi di educazione ambientale previsti dal nostro progetto di cooperazione internazionale.
Miriam, colei che ha dato vita a questa articolata struttura di accoglienza e informazione, in questi primi giorni mi sta ospitando nella sua casa che si trova fuori dal tercer anillo della citta' che conta quasi due milioni di abitanti.
Questi fermenti virulenti mi trasportano nel tempo migliore.
Qui ci sono sempre stato...

giovedì 7 aprile 2011

Spaesante primavera

L'asfalto era duro, quasi adamantino. Ewan camminava sopra di esso, e in giro, dentro, attorno, scorreva la grande citta'. Brividi di irrequietezza circolavano attraverso il suo corpo ad ogni passo, sulla strada, e un alito di spaesamento gli volteggiava intorno.
Pensava all'ultimo luogo perduto che ora si raccoglieva nella memoria: il bosco, la baita con le travi di larice, gli animali liberi e l'aria. Se ne ando' quando anche in alto era nata la primavera. Non c'erano motivazioni che lo avevano portato ad abbandonare la montagna: stava a suo agio nella solitudine del rifugio; semplicemente era venuto il momento di fare altro, di cavalcare un successivo ed incostante altrove. E poi lassu' veniva a trovarlo qualche valligiano con il quale compartiva pastose parole e silenzi significanti. Nel panorama risoluto che li circondava discorrevano di stagioni o di tempo, di incontri e di persone. E qualche volta parlavano di scelte impossibili.
La memoria lo faceva tornare a quel momento in cui si accorse che la primavera aveva minato l'assolutismo invernale. Vedeva i colori dell'erba che stavano virando dal giallo paglia ad una specie di verde, notava l'ingrossamento delle gemme di alcuni alberi, e sentiva gli animali agitati, ma la cosa piu' straordinaria accadde una sera. Ewan era uscito dalla baita per raccogliere la legna dal ripostiglio quando, con il cesto tra le mani ed il naso e la pelle che guardavano verso il tramonto scomparso, capì che qualcosa nell'aria era mutato: era un odore dolce indescrivibile, un aroma di caldofresco che anticipa la pioggia, quell'odore per cui inaleresti una vita e poi ancora. Perché lo sai cosa viene dopo.
Rimase per alcuni minuti fermo e gioioso, cercando inutilmente di decifrare il fluido che l'aria, attraverso le narici, gli portava al cervello. Una primavera stava timidamente aprendo la porta.

La montagna era uno dei tanti passaggi che Ewan aveva esperito, l'ultimo di una interminabile serie. Ora nella citta' ritrovava tracce di spaesamento che aveva conosciuto dopo due anni passati in Asia. In questo conglomerato di asfalto aveva vissuto p-smolto tempo, conosceva le vie, i quartieri e le persone, sapeva dei negozi e dei loro odori. Ewan percepiva il tutto contemporaneamente familiare ed estraneo, riconosceva l'ambiente ma non trovava piu' il suo significato quasi lo avesse dimenticato o appartenesse ad altri. Così si muoveva, tra certezze e ricamate stonature imitanti sonorita' lisergiche alla Hackett.
Ad un certo momento si fermo' davanti alla vetrina di un grande negozio di libri. Dopo aver osservato i titoli, guardo' la gente che si muoveva tra gli scaffali, e infine gli occhi focalizzarono la sua figura riflessa nella vetrata. Vide una persona robusta e slanciata, che non riusciva -o non voleva- trovare il suo futuro, un corpo imbevuto di irrequietezza nomade alla ricerca perenne del sentiero: l'invincibile e avversa strada delle possibilita', l’inutile percorso dello scopo.
Se mai fosse arrivata, la primavera in citta' era ormai lontana, e lui alieno in mezzo a volti sconosciuti, con addosso frammenti impalpabili di se stesso. Attraverso e nonostante questa apparente confusione, il futuro gli ammiccava ancora.

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mercoledì 16 marzo 2011

Una solitudine leggera

L'aveva vista tra le ombre conturbanti del bosco. Veloce e lieve.
Ewan si trovava ai limiti della radura per fare legna in una mattina solitaria e senza vento; ora che la neve si ritraeva di fronte alla temperatura della primavera poteva muoversi agilmente attorno alla baita.
La prima volta che la vide fu li', nel bosco. Piccola, affusolata, imprendibile, la volpe aveva deciso di fare la comparsa di fronte all'essere umano. Ewan conosceva le sue tracce composte, il suo pelo arancione e panna lasciato su qualche cespuglio, e qualcosa gli disse che l'avrebbe incontrata.
La seconda volta trovo' l'animale nei pressi della baita quando il sole era tornato a celarsi al di la' delle creste montagnose; fece appena in tempo a focalizzare la sua grande coda, ma era così svelta che anche questo incontro rimase confuso. Nonostante avesse visto quasi solo la porzione finale dell'animale la chiamo' Speedy, perché quello era il suo nome.

La solitudine era una compagna di Ewan. La piu' fedele. L'incrociava mentre guardava il panorama della valle, mentre tagliava la legna, quando preparava da mangiare. Prima di addormentarsi. Incontro' la solitudine molti anni prima, lontano, al di la' dell'oceano Atlantico, e temette per il suo effetto destabilizzante che si sommava al fatto di essere un ventenne in terra straniera; ma poi le era diventata amica e comincio' ad apprezzare alcuni suoi tratti. In quei momenti Ewan aveva sbandato un poco, aveva sbirciato oltre l'acido confine del non ritorno e, nel momento di maggiore spaesamento, ne era uscito forte, quasi inattaccabile. Quasi. Certo lassu' a volte parlava con essa -o forse dialogava con il proprio io- utilizzando breve frasi, parole con le quali aveva familiarità, intrecci di fonemi che scandivano le azioni; pensava che non c'era nulla di male sentire la voce, far risuonare la presenza della sua persona tra i solchi delle travi di legno della baita, disporre pacati suoni vocali tra le dune bianche di neve e, piu' lontano, tra gli alberi. Era un comportamento naturale come il respirare.

Quelle settimane solitarie in montagna provocavano in Ewan ulteriori effetti. Come si era abituato al sole equatoriale, a mangiare in condizioni di pessimo igiene nelle bancarelle di cibo sulla strada, agli ejenes e mariguís della selva che ti davano un prurito infinito, a parlare per anni una lingua diversa divenuta familiare, a mille e mille persone di citta' immense, Ewan stava conformandosi ai ritmi e le pause della terra alta a fine inverno.
Quasi a compensazione del suo parlare, ed in concomitanza con esso, dopo qualche giorno di permanenza nella baita il giovane era stato invaso dal silenzio interiore, un silenzio che si posizionava da qualche parte della mente e a volte interagiva con la solitudine. Molti sensi ne erano stati coinvolti: l'udito aveva allontanato i clacson infiniti dei tropici, affinandosi ai rumori lievi della Natura, l'olfatto riconosceva il cambio del vento e le ondate di primavera consumata provenienti dalla valle. Con questa attitudine a volte si diceva che sarebbe vissuto in quel posto tutta la vita. Aveva imparato a muoversi come si muove il vento tra gli RFalberi, camminando leggero e consapevole, e aveva visto e toccato come fanno gli animali della montagna.
Forse per questo Speedy, un giorno, le si mise di fronte. Ewan era seduto sulla panca con la schiena appoggiata al muro della baita, raccogliendo l'ultimo sole pomeridiano con gli occhi semichiusi, quando improvvisamente focalizzo' una forma ad una decina di metri da lui. Speedy era ferma, e lo stava guardando con quegli occhi imperturbabili a mandorla. All'inizio penso' che doveva fare qualcosa, invece non fece nulla. Uomo e animale erano fermi, straniati l'uno dall'altro, consci di cosa avrebbe portato quell'incontro.
Incorporati da un sole morente Speedy e Ewan si specchiavano nelle iridi immobili, in quelle lenti sul mondo, cercando in esse il significato sperduto della vita e delle cose; un significato antico come la terra, vicino e al contempo lontano, che a tratti gli esseri viventi percepiscono.
In quegli occhi leggermente a mandorla Ewan trovo' brandelli di sensazioni che aveva compreso ma mai condiviso: la fatica, la sofferenza e le perdite, ritrovo' passioni e incontri caduchi, memorie lontane e l'irrequietezza, tracce di comune appartenenza nomadica. E una composta solitudine.
Nessuno ricordo' quanto le iridi azzurre di Ewan e quelle gialle di Speedy si annullarono le une nelle altre, sotto lo scenario definitivo del cielo che si adagia verso il crepuscolo.

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venerdì 25 febbraio 2011

L’altrove

Dai molti altrove, Ewan era stato scelto da uno. Un posto temporaneo, una delle tante sistemazioni che il destino ramingo gli aveva offerto. Aveva vagato per stagioni in panorami torridi o battuti dal vento gelido del sud, attraverso stanze con la ventola a muro, con i condizionatori vecchi che si spegnevano ad una ora imprecisa del buio, pareti leggere, porte rumorose di alberghi squallidi dalle lenzuola bucate, pulci, niguas, cessi esterni puzzolenti, clacson, birra e rambutan, chicha camba e empanadas che lo facevano lacrimare, polvere dai finestrini del bus. E ancora uomini e donne soli, giovani immortali dai capelli lunghi, ragazzi spaesati, bambini di strada. Le sue iridi trasparenti avevano sentito, toccato, intuito, assorbito e respirato a lungo senza respiro.

Ora era supino sotto il piumone, attorniato da un nuovo altrove. Un non altrove.
Ora che dalla mente gli stavano scivolando via affascinanti ondate di confusi viaggi onirici, ancora libero dall'imminente quotidiano, con il soffio di una rarefatta musica elettronica depositata nelle meningi, muoveva gli occhi chiari sul suo non altrove.
Una, tante, quali case. Una baita in montagna a duemila metri di altezza.
Gli occhi di Ewan erano posizionati giusti per l'alba. Dal suo letto una finestra guardava fuori, la' in fondo, dove il chiarore del crepuscolo segnava i contorni delle creste montagnose, dove la neve lentamente si illuminava a giorno, prima di una tenue luce bianca, poi il colore rosa che vira verso il rosso. Fino a quando l'illuminazione naturale non era preminente, e da almeno un paio di settimane, nelle albe serene c'era una stella che lo accompagnava verso il nuovo giorno. L'osservava muoversi attraverso i vetri, con la sua luce forte e appena intermittente, in un movimento definitivo sopra le cime della valle, un semicerchio nell'orizzonte basso dell'inverno decaduto. Se distoglieva da quel punto giallo lo sguardo per qualche secondo, alla successiva visione individuava quanta strada aveva percorso l'astro attraverso il cielo del mondo.
Ewan rimaneva sotto il piumone, con la mente pulita, sbattendo le palpebre, e gli occhi e il volto illuminati dal nuovo che scorreva attorno a lui. Da quella posizione, quando il giorno era entratoaltr nella baita di legno, a volte gli altrove gli venivano addosso, come la maglia di lana cotta che indossava sopra il petto nudo: ruvida e calda e incomprensibile.  Erano altrove di tutte le forme, tracce di memoria profonda e quasi perduta che riaffioravano grazie a concatenazioni spurie, schegge di passato le cui cicatrici credeva fossero divenute invisibili, costruzioni splendide e abbandonate che solo i sogni riuscivano a rimodellare.
Allora si alzava e andava ad accendere la stufa a legna, ponendo sui suoi anelli metallici dell'acqua da scaldare e un paio di fette di pane per la colazione. Quindi si metteva la giacca e usciva nella neve a inspirare l'aria alta veicolata ogni volta da una brezza diversa; a volte era l'odore della resina delle conifere, altri momenti un'indecifrabile profumo portato dal vento del nord, oppure la giovane primavera che risaliva dalla valle. 
Tante piccole azioni quotidiane reiterate nei giorni e nelle settimane, le quali si mischiavano ad eventi straordinari come l'ombra dell'aquila che ogni qualvolta faceva un giro sopra il rifugio, l'incontro veloce con un camoscio, oppure la lettura di un nuovo libro. Anche la vista sulle montagne e gli alberi e la valle era qualcosa di diverso ogni volta; credeva di conoscere ogni angolo dei pendii, ogni solco di ciascun torrente, ogni cresta che si rifletteva sulle iridi chiare, ma sbagliava: c'era sempre qualche impercettibile novita' nel complesso mosaico che si dispiegava attorno alla baita.

Di sera, accanto alla stufa calda di legna appena tagliata, gli altrove tornavano. Allora Ewan sembrava piu' giovane e piu' vecchio, saggio e immaturo. A volte dalla finestra gelida si poteva vedere la sua figura massiccia che si raggomitolava su se stessa; in altri momenti aveva lo sguardo che danzava con l'immortalita', e pareva avvolto dall'aura che solo alcuni vagabondi posseggono.
Presto Ewan avrebbe abbandonato la baita per prendere un altro cammino sulla strada, in movimento verso un incessante altrove.

 
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