venerdì 25 febbraio 2011

L’altrove

Dai molti altrove, Ewan era stato scelto da uno. Un posto temporaneo, una delle tante sistemazioni che il destino ramingo gli aveva offerto. Aveva vagato per stagioni in panorami torridi o battuti dal vento gelido del sud, attraverso stanze con la ventola a muro, con i condizionatori vecchi che si spegnevano ad una ora imprecisa del buio, pareti leggere, porte rumorose di alberghi squallidi dalle lenzuola bucate, pulci, niguas, cessi esterni puzzolenti, clacson, birra e rambutan, chicha camba e empanadas che lo facevano lacrimare, polvere dai finestrini del bus. E ancora uomini e donne soli, giovani immortali dai capelli lunghi, ragazzi spaesati, bambini di strada. Le sue iridi trasparenti avevano sentito, toccato, intuito, assorbito e respirato a lungo senza respiro.

Ora era supino sotto il piumone, attorniato da un nuovo altrove. Un non altrove.
Ora che dalla mente gli stavano scivolando via affascinanti ondate di confusi viaggi onirici, ancora libero dall'imminente quotidiano, con il soffio di una rarefatta musica elettronica depositata nelle meningi, muoveva gli occhi chiari sul suo non altrove.
Una, tante, quali case. Una baita in montagna a duemila metri di altezza.
Gli occhi di Ewan erano posizionati giusti per l'alba. Dal suo letto una finestra guardava fuori, la' in fondo, dove il chiarore del crepuscolo segnava i contorni delle creste montagnose, dove la neve lentamente si illuminava a giorno, prima di una tenue luce bianca, poi il colore rosa che vira verso il rosso. Fino a quando l'illuminazione naturale non era preminente, e da almeno un paio di settimane, nelle albe serene c'era una stella che lo accompagnava verso il nuovo giorno. L'osservava muoversi attraverso i vetri, con la sua luce forte e appena intermittente, in un movimento definitivo sopra le cime della valle, un semicerchio nell'orizzonte basso dell'inverno decaduto. Se distoglieva da quel punto giallo lo sguardo per qualche secondo, alla successiva visione individuava quanta strada aveva percorso l'astro attraverso il cielo del mondo.
Ewan rimaneva sotto il piumone, con la mente pulita, sbattendo le palpebre, e gli occhi e il volto illuminati dal nuovo che scorreva attorno a lui. Da quella posizione, quando il giorno era entratoaltr nella baita di legno, a volte gli altrove gli venivano addosso, come la maglia di lana cotta che indossava sopra il petto nudo: ruvida e calda e incomprensibile.  Erano altrove di tutte le forme, tracce di memoria profonda e quasi perduta che riaffioravano grazie a concatenazioni spurie, schegge di passato le cui cicatrici credeva fossero divenute invisibili, costruzioni splendide e abbandonate che solo i sogni riuscivano a rimodellare.
Allora si alzava e andava ad accendere la stufa a legna, ponendo sui suoi anelli metallici dell'acqua da scaldare e un paio di fette di pane per la colazione. Quindi si metteva la giacca e usciva nella neve a inspirare l'aria alta veicolata ogni volta da una brezza diversa; a volte era l'odore della resina delle conifere, altri momenti un'indecifrabile profumo portato dal vento del nord, oppure la giovane primavera che risaliva dalla valle. 
Tante piccole azioni quotidiane reiterate nei giorni e nelle settimane, le quali si mischiavano ad eventi straordinari come l'ombra dell'aquila che ogni qualvolta faceva un giro sopra il rifugio, l'incontro veloce con un camoscio, oppure la lettura di un nuovo libro. Anche la vista sulle montagne e gli alberi e la valle era qualcosa di diverso ogni volta; credeva di conoscere ogni angolo dei pendii, ogni solco di ciascun torrente, ogni cresta che si rifletteva sulle iridi chiare, ma sbagliava: c'era sempre qualche impercettibile novita' nel complesso mosaico che si dispiegava attorno alla baita.

Di sera, accanto alla stufa calda di legna appena tagliata, gli altrove tornavano. Allora Ewan sembrava piu' giovane e piu' vecchio, saggio e immaturo. A volte dalla finestra gelida si poteva vedere la sua figura massiccia che si raggomitolava su se stessa; in altri momenti aveva lo sguardo che danzava con l'immortalita', e pareva avvolto dall'aura che solo alcuni vagabondi posseggono.
Presto Ewan avrebbe abbandonato la baita per prendere un altro cammino sulla strada, in movimento verso un incessante altrove.

mercoledì 26 gennaio 2011

Bangkok oscura

Ad una certa ora della notte il tempo diviene cosi' rarefatto che la sua significanza si scioglie negli antri della mente; le cose evolvono attorno a noi, le azioni modificano il presente ma pare di essere in una condizione di mezzo posta tra l'infinito ed un futuro immaturo.
Sono seduto insieme a Wende sul bordo della vetrata di un negozio nel quartiere Patpong. Dai bicchieri di plastica trasparente sorseggiamo the amaro in silenzio mentre nel vicolo illuminato, a qualche metro da noi, vediamo scorrere la babilonia: spacciatori ed intermediari del sesso vestiti in modo distinto, vecchi occidentali accompagnati da puttane sformate a fine carriera, uomini di mezza età insieme a giovani dai capelli folti, gruppi di ragazzi ubriachi che parlano forte. Persone col bisogno disperato di denaro, uomini disperatamente illusi, uomini impauriti dalla solitudine, persone che mettono paura solo ad incrociare i loro occhi oscuri. E' il rito quotidiano che si celebra dall'arrivo di ogni liberatorio crepuscolo sulla Citta' degli Angeli; e' solo una misera, poco significante, a tratti folcloristica, porzione di vita in questa vasta citta'.
Sorseggio il the freddo nella canicolare metropoli insieme a Wende, mentre rumori di musica sincopata dei locali e dei go-go bar si affastellano perversamente nel cervello. Luci abbaglianti vorticano rifrangendosi nella plastica trasparente del mio bicchiere ormai vuoto. Con i sensi vigili aspettiamo Lin Lin ed il ragazzo allegro che sono ancora dentro un negozio non-stop.

Una volta scesi dal taxi proveniente da Banglamphu, abbiamo percorso il mercato notturno di Patpong colmo di prodotti orientali, occidentali, copie di oggetti di lusso accanto a bancarelle del cibo. Lin Lin e Wende osservavano con compassata attenzione le offerte lanciate dai venditori ambulanti, mentre con il ragazzo vivace ci divertivamo a fare battute sui diversi prodotti clonati con abilita'. A questo gioco scherzoso si è poi unita l'aggraziata Lin Lin, passando accanto alle discoteche ed ai go-go bar pieni di turisti intrattenuti da ragazze in abiti succinti. Lungo la Thaniya, la Surawong e altri vicoli oscuri si dipanavano locali s-pdai nomi esagerati, pacchiani, osceni, dai prezzi gonfiati, zeppi di musica e luci accecanti. Uomini tarchiati della sicurezza alle porte dei luoghi piu' esclusivi dall'apparente profilo dimesso, accanto ad intrallazzatori dai volti sfuggenti. Ai nostri corpi pallidi irradiati dai neon delle insegne venivano offerti volantini o cataloghi reclamizzanti locali, donne, uomini e massaggi esclusivi.
“Diversi thailandesi ci hanno detto che la vera prostituzione si e' trasferita in altre zone della citta'”, afferma Lin Lin, incrociando una serie di locali molto simili tra loro, tra i richiami delle ragazze.
“E allora andiamo...”, provoca il ragazzo vivace.
“Anche se non me ne intendo, alcuni di questi posti assomigliano alle copie degli orologi di marca che abbiamo appena visto: più apparenza che sostanza”, aggiunge pacatamente Wende, “copie annacquate”.

E' un'ora impossibile da definire; succede quando si scavalca abbondantemente la barriera invisibile della notte che degrada lentamente verso la sconfitta con la luce del nuovo giorno. Ma qui pare che tutto possa continuare per sempre.
Una volta ricongiunti con Lin Lin ed il ragazzo allegro decidiamo di uscire dal triangolo di Patpong per dirigerci a piedi lungo la Ratchadamri ed il parco: abbiamo voglia di cambiare aria prima di tornare a Banglamphu.

Bangkok oscura accompagna sotto le sue ali tolleranti i Vagabondi del viaggio fuori dalla iperbolica commedia di Patpong, e loro inalano finalmente la brezza misurata, il caldo trattenuto di una citta' riposata dal traffico e dal commercio.
Una nuova lattiginosa alba si avvicina alla prossimita', e Bangkok, la Citta' degli Angeli, l'invincibile cortigiana di silicio sempre pronta a schiudersi di fronte ad un inchino mellifluo e' qui, generosa, attorno alle cose.
Cammina piano l'eclettico quartetto che a tratti si moltiplica nelle vetrate dei grattacieli di Sala Daeng: e Wende con la sua flemma di cinese dominante nella benestante Penang, istruito nelle universita' del Regno Unito; ed io, occidentale, affine al centro Europa, senza paese e ricco di molti paesi. E le dissimulazioni provocatorie del ragazzo allegro; e poi Lin Lin, sì, con la grazia e una tenacità profonda che guarda oltre e oltre.
Quattro spiriti incontrollabili. Quattro eredi della solitudine.

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sabato 1 gennaio 2011

Due di tre: i favoriti del 2010

Libri:
Cormac McCarthy - Trilogia della frontiera – Einaudi
triofr
Anthony Burgess - Trilogia malese – Einaudi
triomalese
Dischi:
Flying Lotus  (US) – Cosmogramma – Warp records, 2010
flying_lotus-cosmogramma
Jaga Jazzist (N) – One-armed bandit – Ninja Tune records, 2010
Jaga_Jazzist

Film:
Roman Polanski - The Ghost Writer/L’uomo nell’ombra – o1 Distribution, 2010
images
Chistopher Nolan - Inception – Warner, 2010
Inception_Poster_locandina_segreti

venerdì 24 dicembre 2010

Buio su Bangkok

Zampe. Il bus ci porta celermente in avanti, nonostante l'oblio offuschi la destinazione. Una certezza sbilenca mi sussurra che il viaggio sara' inspiegabilmente tranquillo e veloce; niente forature di gomme, nessuno stop forzato presso ristoranti bollenti, basta fermate ogni venti metri per raccogliere qualche distratto passeggero. Dai vetri polverosi arriva una balugine di informi panorami tropicali: il Myanmar, credo.  Mentre ondeggio sento raschiare sulle assi di legno. Sono zampette.
Gli occhi si aprono e, nell'oscurita' rischiarata dalle mille luci della metropoli, vedo due forme allungate che si trascinano sul molo di legno annusando in giro con prudenza. Topi. Erano loro che accompagnavano il mio dormiveglia. Il tempo è scivolato sulle braccia, sopra la maglietta, sul corpo magro, per trattenersi intorno alla bottiglia di vino di riso. Affascinata dall'incedere lento del Chao Praya, quest'ultima rimanda ovunque frammenti di abbagli provenienti dal manto caleidoscopico del fiume, e da tutto l'universo brulicante che le si affastella ai lati e sopra, come un codice Morse luminoso conosciuto a pochi. Alzandomi da questo luogo che fa parte delle intime abitudini, raccolgo la bottiglia vuota e la rimetto nel sacchetto di plastica.
La citta' che non riposa mai mi accoglie nuovamente con le sue auto veloci, i tuk tuk ed i bus provenienti dal nulla con i numeri sbiaditi. Cammino per una quasi fresca Phra Athit alla ricerca di un locale dove mangiare. Bar e ristoranti costosi si intercalano abkk b minimarket e a venditori ambulanti. Scavalco luci e luci per ritrovarmi di fronte al locale dell'altro giorno: una stanza scarna con pareti macchiate dal tempo colma di tavolini che dall'interno rigurgitano sulla strada. Anche se è pieno di avventori all'inverosimile dico al gestore che vorrei mangiare. Mi accomodano presso un tavolo già occupato da tre persone; i due ragazzi e la ragazza mi sorridono accondiscendendo con grazia orientale, poi riprendono a cibarsi.
Quando la grossa ciotola di zuppa di noodles di riso viene posizionata di fronte a me cominciamo a intessere un diluito discorso. Sono tre malesi di origine cinese che vivono da generazioni a Penang. La ragazza, Lin Lin, affascinante, ha una carnagione così bianca che pare non abbia mai incontrato raggi solari. Wende, uno dei due maschi, emana dagli occhi sfuggenti una conoscenza profonda. L'altro componente del terzetto è piuttosto allegro causa probabilmente le birre sparse sul tavolo. Anche loro camminavano nella notte in cerca di qualcosa e hanno trovato questo posto frequentato da thailandesi.
Ad un certo punto il tipo più vivace propone di andare a Patpong. Lin Lin annuisce spostando occhi interrogativi da Wende in mia direzione.
“Va bene”, dico in rimando, posando orizzontalmente i bastoncini sui bordi della ciotola.
Conveniamo tutti che è meglio prendere un taxi, data la tarda ora.
Voliamo nel buio, e dai vetri cristallini dell'autovettura la Citta' degli Angeli ci scorre dentro, col traffico che finalmente inspira la meritata boccata di pace. I negozi del quartiere cinese, le bancarelle dei mercati diurni, le jeep dei militari, l'architettura del luogo, accettano, o meglio, si abbandonano alla tregua come le pause notturne durante la guerra di trincea.
Lin Lin e il ragazzo allegro soffiano dalla bocca note di una musica lontana mentre Wende li guarda a tratti sorridendo lievemente. Non riesco a svelare le sensazioni che provo in questo particolare momento: è come se la mente venga afferrata e liberata dalla mutevolezza, come simultaneamente straniarsi e sentirsi parte di un tutto inintelligibile, nuotare solitari nel mare infinito che ad ondate casuali incorporerà.
Intanto le insegne abbaglianti dai colori pornografici si infittiscono, certezza che siamo in prossimità di Sala Daeng. Davanti a noi, e sotto la vigorosa struttura di cemento armato dello skytrain, attraversano la strada due occidentali seguiti dalle loro amiche thailandesi.
Proprio qui nel taxi, con il sottofondo vocale dei compagni di viaggio, nel buio rischiarato a giorno di Patpong, e nell'oceano burrascoso dell'identità mutante, percepisco che la tessitura dell'instabile familiarità si rafforza.
 
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