martedì 7 dicembre 2010

Bangkok, la sera

La citta' stende le sue lunghe ali, e con la rapidita' di una nuvola solitaria che offusca il sole, la sera raggiunge Banglamphu. Ancora una volta il fiume torbido, e gli alberi, e le case, respirano la liberazione dalla luce. Esseri umani, uccelli e gatti dal pelo corto si muovono con maggiore audacia, quasi indotti da una forza esogena che rinasce ad ogni tramonto. Neon pacchiani dei locali e di negozi cominciano a prendere vita, illuminando volti e membra sudate che percorrono l'asfalto. Il nuovo crepuscolo saluta l'infinita Citta' degli Angeli: paradossalmente e' l'eclissi, e l'inizio della giornata.

Mentre camminavo con Jens a Yangon downtown, tra marciapiedi sconnessi, rifiuti, folla e strade urlanti, tentavamo di rivelare lo straordinario effetto che aveva il cadere del sole tropicale sugli esseri viventi. Era come il svegliarsi al mattino sopra un letto fresco, ricevere una doccia purificatrice, inspirare profondamente, vedere e sentire il mondo con vista e udito diversi, rinnovati. Dopo una giornata bollente questa catarsi la si percepiva ovunque, negli angoli o nelle case, negli uomini e nelle strade. In tutta la sua indecifrabile pienezza.

Sono appena sceso dall'alloggio dalle pareti di cartongesso che odora di muffa. Oggi ho visitato uno dei mercati della frutta sotto un cielo caustico, percorrendo chilometri di strade e vicoli, quindi, costeggiando il canale, una grande arteria mi ha condotto allo stadio nazionale e alla zona commerciale. Case basse e venditori ambulanti prima, chilometri di palazzi di vetro e acciaio e negozi di lusso dopo. Le ore più calde mi hanno visto vagare in un mall immenso, quasi spaesato dal miscuglio di prodotti occidentali e orientali, ringiovanito dall'aria condizionata. Nel bus 15 che mi riportava a Banglamphu tra il traffico pauroso, percepivo me stesso odorante di sudore, fritture e durian.

Bangkok, la sera, mi accoglie con buio fresco, con i passanti eccitati pronti a togliere ancora una volta la verginità alla notte smisurata e generosa. Percorro la strada piena di chiassosi ristoranti per turisti, carichi di prodotti siamesi in salsa occidentale dal prezzo astronomico rispetto agli standard locali. Il viso inespressivo oltrepassa venditori di magliette, di BBK eveorecchini, di software pirata, spacciatori, cambiavalute, ATM, lavanderie e mille altri ambulanti. Rifulgo da quell'abbaglio per immergermi in un vicolo solitario e male illuminato che porta verso il fiume Chao Praya.
Dopo essere uscito da un negozio con una bottiglia di vino di riso, tra l'andirivieni di gente di ogni sorta scorgo una ragazza dai  capelli chiari seduta sui gradini di un negozio. Scambiamo alcune parole mentre lei mangia degli involtini fritti appena acquistati da un ambulante, poi ci alziamo e ognuno segue la sua strada.
Veloce sulle infradito attraverso il ristorante di lusso col mio sacchetto di plastica contenente la bottiglia stappata, e finalmente vedo il fiume.
Bevendo lentamente sono qui seduto sul molo di legno che di giorno accoglie le barche del trasporto pubblico cittadino. Gli occhi riverberano lo specchiare delle luci sul fiume: fanali di auto che attraversano il ponte, finestre di palazzi e grattacieli, fari di rimorchiatori e di battelli traboccanti musica della crociera notturna. Il fiume invece è come sempre silenzioso, e dove non è costretto a riflettere bagliori alieni rimane oscuro, impenetrabile, solcato da piante acquatiche provenienti da lontano. Ondeggio con lui, immergendo i pensieri nel suo liquido vagabondo, inspirando la brezza che gli scivola sopra, e assumendo ancora alcool di riso. Non ho ancora deciso dove andro' a cenare: forse in quel locale sempre pieno di thailandesi dalle parti della Phra Athit, oppure mangero' qualche sostanzioso curry di riso sulla strada.
Rimango nel buio della notte, a un soffio dal fiume, cercando inutilmente di disvelare i segreti profondi della Citta' degli Angeli, l'immenso fascino celato sotto la patina volutamente multicolore e caramellata che offre allo straniero. Una seduzione, una saggezza che appena riesco a lambire.

giovedì 18 novembre 2010

Una mattina a Bangkok – parte due

Le infradito raschiano lievemente le piastrelle consumate del Ratchadamnoen Klang; il viale immenso termina da qualche parte nell'orizzonte composto e umido. Attorno sfilano passanti, taxisti in attesa di lavoro e qualche turista che si avventura fuori dai recinti ordinari senza un mezzo a motore. E poi c'è il traffico delle nove sopra una strada dalle mille corsie. Se non fosse per lo sciamare compulsivo di veicoli, questa zona della citta' sarebbe davvero piacevole, quasi perfetta: sulla destra l'università, il teatro e in lontananza il Palazzo reale, alle mie spalle il fiume carico di limo e piante acquatiche, davanti ancora monumenti. BKKIn  alto il monsone sfavilla nuvole placide che migrano verso nord.
Mi passo per l'ennesima volta la mano sulla fronte per allontanare sudore. Numero due. La prima traspirazione è arrivata quando facevo colazione, nonostante il ventilatore acceso sopra il capo; bevevo caffè tiepido e lì, dietro, sotto la maglietta, centinaia di goccioline convergevano in rivoli caldi che percorrevano la schiena per accumularsi nella stoffa dei pantaloni.
Ad una fermata del bus gli occhi cercano il numero 79. Nulla. Proseguo alla successiva trovando sul consunto cartello metallico quello che cercavo. Mi siedo su una panchina accanto ad un ragazzo, mentre decine di persone aspettano pazientemente i mezzi pubblici. Il giovane indossa calzoni neri attillati, camicia scura sovrastata da una vistosa collana d'oro, scarpe di tela; un ciuffo di capelli lisci copre buona parte della guancia brufolosa.
“Scusa, ogni quando passa il 79?”, chiedo.
Il ragazzo prima di rispondermi muove leggermente il busto in segno di disagio. “Ogni quindici minuti... più o meno”, dice timidamente.
Dopo poco arriva il mio bus arancione, prendo posto e attendo rilassato la bigliettaia con calzettoni corti e gonna blu di ordinanza. Quattordici baht. I passeggeri mi osservano per qualche secondo, poi riprendono a toccare il cellulare o a guardare fuori dal finestrino godendosi la temperatura all'interno del mezzo. Nessuno lo esprime esplicitamente quasi fosse un segreto profondo, ma sotto gli occhi dei viaggiatori riconosco il piacere dell'attimo, catturo la gioia di esporre pelle, vestiti, tutto, alla catarsi dell'aria condizionata.
Dal vetro le mie iridi salgono sul Monumento alla democrazia che si perde nel cielo indefinibile, toccano i contorni del Forte, il ponte sul canale, per poi percorrere la Lan Luang road.
La Citta' degli Angeli mi entra sempre con maggior forza come una oscura e tossica pozione; se dovessi analizzarmi assisterei dentro alla mente ad una battaglia selvaggia tra l'istinto liberatorio di abbandonarmi alla metropoli e la volontà programmatica che attinge da qualche insulsa razionalità. Perché non farsi trascinare dal mezzo in posti sconosciuti, alieni, in quartieri impossibili e magari ostili? Perché non perdersi in labirinti vergini all'occhio del viaggiatore?
Scendo alla fermata, attraverso una strada ed incontro quello che cercavo. Costeggiando parzialmente un canale alberato, a cavallo tra l'area storica e quella commerciale di questa immensa citta', ifruitl mercato della frutta mi si apre davanti. Mangostine, longan, banane, dragon fruit con polpa rossa e bianca, dolcissimi chirimoyas, manghi, avocado, noci di cocco e decine di altri frutti sono perfettamente allineati sulle bancarelle brulicanti di clienti. Giro tra gli stretti vicoli interni del mercato osservando, comparando i prezzi, perdendo tempo senza perderlo.
Fin da questa mattina, quando stavo disteso sul letto della stanza dalle pareti di cartongesso ipnotizzato dalle pale del ventilatore, programmavo di acquistare ad un costo ragionevole il re dei frutti tropicali, quello per cui vale la pena affrontare asfalto ed umidità.
Presso la bancarella che ho di fronte trovo cio’ che desideravo: un robusto giovane con guanti e grembiule rinforzato, munito di coltelli ed una specie di machete, mi mostra con orgoglio la montagna di spinosi durian che ha alle spalle. Mentre faccio pesare, stimo, annuso, alcuni passanti osservano incuriositi questo straniero piovuto dall'effimero con la maglietta inzuppata di sudore, disperso in un lontano mercato della Citta' degli Angeli; osservano il suo contrattare, il sorriso determinato, l'espressione del suo volto quando assaggia il loro frutto più intimo. Il durian impossibile.

domenica 31 ottobre 2010

Una mattina a Bangkok – parte uno

Nella Citta' degli Angeli la mattina arriva troppo in fretta. Apri gli occhi con il buio, rigiri il corpo magro nel duro materasso ed è già giorno. Le ore di luce mattutine che ti getta addosso il quartiere Banglamphu sono sempre silenziose, quasi a compensare gli eccessi della notte in una città molto generosa con gli uomini. Questo peduncolo di verde, hotel e case attaccato al Chao Praya river è come una cittadella proibita rimasta intatta agli algidi bombardamenti di aerei stranieri portatori di una loro democrazia, intonsa alla corrosione di un tempo che ha per unica arma la pazienza. Fuori Banglamphu, mostruose e gonfie arterie colme di metallici marchingegni si sfidano a vicenda affondando nell'afa per condurre da qualche parte persone e cose; linfa corrosiva e forse necessaria che avvolge e ancora avvolge. Dentro Banglamphu, regna il silenzio del feroce sole crescente, ammorbidito da nuvole monsoniche. Precisamente, nella piccola stanza dalle sottili pareti di cartongesso, un rumore costante mi circoscrive. Osservo le instancabili pale del ventilatore muoversi sotto il soffitto macchiato, un cerchio ipnotico il cui suono si e' fissato nel cervello fino ad annullarlo consciamente, dopo averlo incorporato tutta la notte. Rumore corrosivo ma necessario.
Dal soffitto sposto lo sguardo alle lenzuola che non coprono il corpo nudo: sono lì su un lato del letto solitario, spiegazzate, rattoppate dai buchi di brace di sigaretta, gialle a furia di lavaggi, quasi inutili. Solo verso l'alba, quando la temperatura si avvicina a qualcosa  che assomiglia vagamente alla passabilità, esse vengono cercate e magari posizionate sui piedi. Specularmente a quando il sole tramonta, le ore che accompagnano il sorgere del sole sono quelle del ristoro, dell'anelato impossibile fresco.

Sono sbarcato ieri pomeriggio nell'umida stazione dei bus di bkkEkkamai dopo un lungo viaggio proveniente dalla costa interna,  salito sullo skytrain, poi il familiare bus 15, Banglamphu. Niente tuk-tuk o taxi come fanno i turisti. Quando il giallo pallido del tramonto stava cedendo gli ultimi colori pastello alla notte entravo in un hotel economico dalla facciata pomposa, contrattavo il prezzo dopo aver dato un occhio alla camera e mollavo i polverosi bagagli. Poi fuori per acquistare una Leon e rambutan.

Allungo il braccio verso il comando del ventilatore per abbassare di un punto la velocità, tanto per ammorbidire la sua presenza sonora. Ora dalle pareti mi arriva il tossire della persona che dorme nella stanza accanto; da qualche parte una porta si chiude.  Alla mia sinistra -vicinissima al letto e sopra un mobiletto- vedo una piccola televisione sulla quale ho appoggiato lo spazzolino e il contenitore del sapone, monete, la chiave del lucchetto. La bottiglia dell'acqua è accanto all'elettrodomestico a cui ho staccato la spina. Sulla porta d'entrata è appeso l'asciugamano odorante di muffa e la maglietta che uso durante il giorno; i calzoni e lo zaino piccolo sono infilati nella cornice sporgente dello specchio accanto alla televisione. Precisamente, bisogna ottimizzare lo spazio. La borsa è ai piedi del letto accanto alla guida, l'usurata mappa della città, una birra vuota e le infradito. Il bagno si trova oltre la parete del letto; l'altra volta era fuori dalla stanza, ma non aveva importanza, ero e sono qui, nella Citta' degli Angeli.
Saranno le otto passate e fuori si ode qualche sporadica moto e nulla più oltre ai canti dei galli e il richiamo di qualche uccello dietro le mura di un monastero alberato.
Rimango ancora un tratto disteso osservando senza vedere la stanza, infilando pensieri raminghi e assaporando il fresco accumulato durante la notte; tra poco mi alzerò per raggiungere quello sconfinato viale che mi porterà fino in fondo alla Lan Luang road, sotto un cielo opalescente. Sono tranquillo perché qualsiasi ora mi alzerò sarà sempre troppo tardi e troppo caldo.

giovedì 7 ottobre 2010

Smarrimento a Da Lat

Scendo quasi spingendo il ragazzo che ci accoglie all'arrivo. E' sempre cosi'. La compagnia dei bus si accorda con l'albergatore per fermare il bus di fronte all'hotel. “Mafia connection”, dico a un coppia di inglesi che avrebbero voluto scendere in centro citta'. Loro emettono un paziente sorriso di intesa. Raccolgo la borsa tra le decine gettate per terra dall'addetto del bus e mi incammino alla ricerca di un alloggio, senza rispondere a taxisti e  procacciatori ansiosi. L'aria degli Altopiani centrali gia' mi elettrizza.
Questa mattina mi sono alzato presto, ho contemplato con un alito di nostalgia le calme onde del mare pensando a nulla, poi ho fatto un cenno di commiato verso quell'acqua venata da obliqui raggi solari.
Il bus scorre tra coste sabbiose e rocce nere che si inumidiscono nel mare Cinese. Vento caldo entra dai finestrini spalancati. Case di mattoni e hotel si strofinano nello specchio degli occhi senza rimanervi, mentre l'udito incontra il ritmo reiterato di All Things dei britannici cinematici. Cominciamo a vagare tra colline spelacchiate, abitazioni di paglia e bambini che tornano da scuole invisibili, respirando polvere illuminata da feroci raggi solari. Dopo un'ora il bus imbocca una pista squinternata dal monsone, dove l'asfalto e' uno spurio ricordo del passato; percorriamo altopiani carichi di storia e di guerra recente. Mille colline solcate da torrenti chiari accolgono il nostro mezzo, mentre la pianura  lattiginosa si allontana. Per lunghi tratti quasi ogni spazio verde -Aroudalatanche quello più in pendenza- è sfruttato, coltivato, raso al suolo dagli uomini-cavalletta di questo Paese. Sembra una corsa virtuosa ad eliminare l'ultimo filo di Natura libera. Scuoto il capo sconsolato.
Come in un gioco che non è gioco vengo presto smentito da una serie di catene montagnose rivolte verso ovest coperte da conifere: forse un parco nazionale. Salendo e spostandoci lontano dalla costa, agguerrite barriere nuvolose ci vengono incontro, donando refrigerio e qualche sporadica ondata di gocce sottili. Oltre una piatta collina scorgo porzioni di Da Lat. “Crepa caldo”, dico a me stesso, aggiungendo qualche parolaccia che filtra tra le labbra lunghe di sorriso.
Percorro veloce strade pendenti prima di trovare un alloggio. L'hotel è pieno di turisti locali, probabilmente una grossa comitiva. La signora mi mostra una stanza all'ultimo piano con bagno e acqua calda. Per abitudine cerco con gli occhi il ventilatore.
“Sarebbero sette dollari ma”, quasi anticipando una mia richiesta di ribasso, “ti sconto un dollaro”. Annuisco senza parlare.
Dalla camera vedo palazzi coloniali, case alte e aguzze, hotel, antenne; in là scorgo puzzle di colline spruzzate di verde, solcate da profondi e invisibili torrenti. Il sottofondo dei clacson perenni Da Lat che proviene dalla strada perfora e rimbalza su informi strati di nuvole grasse di umidità. Esse si muovono lentamente, quasi in accordo tra loro: prima le fasce più basse, quelle maggiormente rarefatte, poi quelle intermedie e quindi le nubi superiori che offrono una cappa impenetrabile. Una mandria affiatata nella loro scomposizione.
Mentre mi preparo per uscire, un lieve stato confusionale avvolge la mia mente. Lavandomi le mani, toccando la salvietta, intuisco che qualcosa di significativo è cambiato attorno a me; in quel lampo di mezzo che precede la soluzione, un istante prima di arrivare al motivo, mi sento strano: le abitudini di sempre sono declinate in maniera diversa causa qualcosa di incomprensibile, differente dall'ordinario, lontano ma al contempo familiare. Tocco il metallo dell'orologio e lo percepisco fresco... Ecco, tutto si risolve. Un palpito per rendermi conto che il cambiamento, la diversità, era veicolata semplicemente dall'abbassamento di temperatura. Eppur in quell'attimo lungo uno schiocco di lingua, dopo mesi scolpiti su un mondo bollente, con il sudore cucito all'epidermide, ritrovo a sorprendermi per una serie di cambi di sensazioni che avvolgono la mia persona.
Ma ora è tempo di uscire. Fuori qualcosa di nuovo è in attesa.
 
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