martedì 27 luglio 2010

A piedi lungo il lago Inle

Sono in strada dopo aver ricevuto le informazioni. Non ho bene capito quanti chilometri dista il villaggio di Kaung Daing ma non e' troppo importante. Attraverso il ponte del canale che conduce al lago Inle; sotto sciamano un'infinita' di barche di legno dal profilo sottile contenenti persone, ceste di pomodori, verdi ortaggi, canne e altro ancora. Per sicurezza chiedo se la strada che sto prendendo e' corretta ma non vengo capito; dopo tre tentativi di modifica del tono\accento, la mia destinazione viene compresa. Il percorso di terra battuta e' puntellato due file alberate di eucalipti. Ho voglia di camminare con questa temperatura accettabile e sotto un cielo nuvoloso.
Il paesaggio rurale mi scorre dentro lentamente, in modo che possa assaporarlo meglio: palafitte sull'acqua delle risaie, pagode dorate e monasteri di scuro legno tropicale, ragazzini che si recano al pozzo per prelevare l'acqua, gruppi di cani e mucche in libera esplorazione. E poi moto, bici, vecchi trattori e molti altri camminatori. Quasi tutti salutano. Potrei entrare in uno degli stretti sentieri laterali per perdermi nel verde infinito.
Dopo circa un'ora raggiungo la strada semiasfaltata che costeggia il lago. Un intraprendente mototaxista mi informa che mancano ancora diversi chilometri alla destinazione, offrendomi il viaggio in pochi minuti. No, andiamo con le proprie gambe! Forse il fine e' precisato nel cammino attraverso questi luoghi. Le ciabatte infradito vanno veloci sull'erba corta del bordo della carreggiata, passando vicino a cespugli, alberi e fiori spontanei.

Camminando si intessono significative relazioni, interazioni leggere con le persone e l'ambiente. Le donne che trasportano pesi sulla testa, i bambini che si recano a scuola, i monaci che chiedono pazientemente l'elemosina, gli uomini nei campi, capiscono chi sceglie -anche per poche ore- la loro stessa mobilita'. Un movimento economico, antico, costruito sulla fatica e la lentezza, capace di osservare, di immergersi, di approssimarsi. Piu' il muoversi affonda nello sforzo, piu' la posta su se stessi incrementa, concedendo maggior godimento al proprio io. Cammino e consumo la terra cosi' vicina ai piedi, consumando contemporaneamente il corpo, introiettando particelle di polvere, eppure sono convinto che da qui si veda veramente la strada, conoscendola, toccandola. Mentre il fisico cede energia causa il moto, la mente respira il paesaggio con le colline tappezzate e il grande lago. Queste genti sono cosi' in sintonia con l'ambiente lacuale fino a realizzare una moltitudine di orti galleggianti coltivabili dalla barca. Un sole tenue filtra nella rete nuvolosa, aumentando la temperatura. Ancora qualche decina di minuti e riesco a vedere il villaggio di Kaung Daing incuneato nel lago Inle. Mi fermo davanti ad una casa per ricevere conferma. Si', sono arrivato.

sabato 17 luglio 2010

Sulle rotaie del Myanmar

Il luogo e' presidiato dai militari. Un funzionario serio esamina il mio passaporto lentamente, poi ricopia alcuni dati sul biglietto. Quattro dollari. All'inizio mi rifiuta una banconota perche' malconcia, ma, vedendo non ne posseggo altre, accetta il denaro con una smorfia. Inizia cosi' il mio viaggio da Taungoo a Thazi.
Strati di nuvole monsoniche scivolano sul metallo liso delle rotaie mentre attendo. Il 5 UP arriva in ritardo con le sue carrozze color crema, pavoneggiando inizialmente la classe Superior, per successivamente presentare i vagoni di classe Ordinary. La mia. Cerco la carrozza 2 ma non vedo numeri, quindi domando informazioni. Un addetto mi accompagna velocemente al mio posto mentre il bagaglio viene generosamente portato da un ragazzo con la giacca mimetica e i denti incrostati dal rosso scuro del betel. Dopo una abbondante sosta partiamo dapprima a scossoni, in seguito dondolando lateralmente. Acuti rumori metallici si incrociano con voci reiteranti dei venditori e il parlare dei passeggeri. Dai finestrini generosamente spalancati e sotto un sole alternato a nubi mi si apre uno splendido mosaico antico: cesellato da mani esperte, un'infinita' di piccole risaie vengono coltivate da uomini e donne con i copricapo in fibra vegetale a forma conica. Mi si fissano negli occhi tonalita' diverse di verde, mischiate al marrone dell'acqua luccicante. Verde verginale del riso da poco piantato si intervalla al rosso del terreno arato ed al quasi giallo delle piante mature. Vedo scorrere case di paglia con tetti di lamiera, protette da un groviglio di palme da cocco, banani, papaye e manghi; nei campi si muovono magri cani liberi, mucche, zebu' e bufali indiani utilizzati per trainare carretti e antichi strumenti agricoli. Uomini tranquilli accompagnano mucche che divorano l'erba cresciuta tra gli appezzamenti del cereale. Cullato dal lento procedere del treno, attorno a me passa l'Asia.

Accanto al mio posto si e' seduto il ragazzo sorridente con la tuta mimetica. Su questi sedili di legno cigolanti mi spiega che torna a casa dopo aver fatto una visita medica. Anche se la comunicazione e' difficile, il ragazzo diventa un intermediario tra me e quello che avviene nella vivace carrozza. Ambulanti di tutti i tipi passano in continuazione vendendo principalmente generi alimentari; accanto a loro scorrono in competizione gli addetti del treno che offrono bevande e piatti di riso con curry. Ad un certo momento passano due giovani monaci che chiedono l'offerta porgendo a ciascun passeggero una busta vuota. Diversi viaggiatori contribuiscono generosamente. Poco dopo un signore si piazza alla meta' esatta del vagone e, dopo una pomposa introduzione con voce squillante, propone una serie di balsami di bellezza. Appena mostra ai suoi ascoltatori un prodotto nuovo, il ragazzo accanto mi informa riguardo il prezzo. Ridiamo scherzosamente ogni volta, come in uno scherzo semplice.
Di fronte a noi ci sono una coppia di giovani birmani che osservano con curiosita' il nostro parlare, guardando con discrezione i miei vestiti, i movimenti e quello che estraggo dallo zainetto. In questo mondo oppresso da una dittatura chiusa su se stessa, in modo speculare la mia persona e gli altri passeggeri del vagone siamo investiti dalla novita' che e' effetto del viaggio.
Mentre penso a come poteva essere la Birmania all'epoca del colonialismo, le mie narici vengono investite da un miscuglio di odori di frittura, l'aromatico del betel, di fiori e, con grande piacere, riconosco l'inconfondibile richiamo del frutto piu' particolare che esista, quello con cui l'amore e' per sempre. Il durian.
Le ore si affastellano su questo treno lento e gioviale; corro con il paesaggio che muta, vedo gente mangiare, incrocio ragazzi carichi di libri che affittano per qualche ora ai passeggeri, bigliettai immusoniti dalla loro carica statale. Nonostante non sappia bene a che ora raggiungero' Thazi, mi accorgo che quaggiu', infossato nei sedili di legno delle classe Ordinary, la mente e' profondamente libera, spoglia dai doveri. Spoglia, nulla piu'.

venerdì 9 luglio 2010

Incontri casuali a Yangon

L'aereo plana su uno strato di nuvole basse al di sotto delle quali compare improvvisamente la pista di atterraggio. Quanti abitanti conta Yangon? 5-6 milioni. Quanti velivoli vediamo nel maggior aeroporto della nazione? Cinque. Ecco il primo impatto con il boicottato regime autoritario del Myanmar.

Questo pomeriggio, dopo aver visitato una dorata pagoda che si affaccia sul Yangon river, comincia a scatenarsi un temporale che pare infinito. Apro l'ombrello ma la pioggia e' troppo insistente. Sulla mia sinistra si dispiegano una serie di teloni che radunano diverse bancarelle del cibo. Mi metto al riparo sotto uno di questi. La proprietaria mi sorride, quindi con un modo estremamente spontaneo mi porge la sedia di plastica rossa e una teiera di te' caldo da versarsi in un boccale di vetro. Sorseggiando il liquido amaro gli occhi volteggiano sulla struttura costituita da un lungo telone verde sorretto da pali di bambu', si arrampicano sulla luce al neon alimentata da una batteria di camion che illumina decine di pietanze conservate in pentole di acciaio, per infine posarsi su una decina di tavoli ricoperti da cerate nuove di zecca. Sopra i tavoli ci sono le teiere e i contenitori di plastica al cui interno si srotola carta igienica per pulirsi le mani. Il pavimento e' formato da terra battuta piuttosto irregolare. Sulla strada vedo passare camion che trasportano enormi tronchi, autobus, bici e molti furgoncini.
La pioggia sembra motivo di gioia e utilita' per i birmani: nell'altro lato della strada un bus urbano che propone la pubblicita' della Star cola viene allegramente pulito con spazzoloni da due uomini; ancora uomini in longyi si lavano il corpo con sapone bianco sotto una voluttuosa grondaia, poi incrocio monaci bambini a piedi scalzi, studenti e monelli nudi che giocano nelle grosse pozzanghere sopra le quali volteggiano rifiuti di ogni tipo.
Sono le 18 passate e la pioggia sembra aumentare di intensita': perche' dunque non approfittare del luogo? Con la gestualita' mi faccio portare un piatto di riso, dei pesciolini fritti e le gustose zucchine amare. La signora aggiunge al mio tavolo una scodella di brodo di verdura, delle fettine di cetriolo ed il chili. Mangio mentre cala la notte abbracciata dai lampi tropicali. Luci di fari si specchiano sulla strada sventrata dal traffico, illuminando frammentate sagome in movimento.
Ad un certo punto dal diluvio appare un ragazzo allegro completamente bagnato che si mette a scherzare con la proprietaria; quest'ultima mi guarda rendendomi partecipe del loro oscuro gioco. Come fossi un'altra persona divengo compagno di ritagli di vita di questi individui: un distillato purissimo dove le parole e le lingue cedono significato alla gestualita', ai simboli ed a una intesa imperscrutabile che trova comunanza tra esseri umani.
La pioggia continua a cadere ed i bordi della strada si stanno allagando; forse e' il momento di lasciare questo significativo e benefico tratto di viaggio del mio primo giorno in Myanmar.

sabato 3 luglio 2010

Da Pattaya a Bangkok

Il signore seduto davanti a me ha le mani scure e forti. I contorni delle sue unghie sono marchiate dal nero, forse e' il lavoro in officina. Porta una camicia blu ed un paio di bermuda verdi colmi di tasche laterali. Si e' portato per il viaggio un sacchetto di biscotti ed una bevanda color rosso venduta in tutto il mondo non certo per le sue proprieta' qualitative. Chissa' cosa andra' a fare a Bangkok il signore con la camicia blu, mi chiedo mentre ai fianchi scorrono colline ricoperte di alberi, palme da cocco, bandiere cangianti della Thailandia e ombrelloni dei venditori ambulanti. Un cielo monsonico costellato da nuvole in continuo accavallamento tra loro si libra sopra le nostre teste; una incomprensibile straordinaria ordinarieta' mi si posa sugli occhi e su quello che guardano, come se viaggiassi all'infinito.


Ancora una volta in movimento dentro il mondo, qui, assaporando The man with the movie camera dei Cinematic Orchestra, seduto nei posti terminali del bus. Volo insieme alla chitarra cinematica anche se la mente e' occupata ad elaborare quello che ho visto in questi ultimi giorni. Per riassumerlo potrei citare ancora musica con un crudo e realistico pezzo di Frank Zappa, ma basta far scorrere lo sguardo in avanti di alcuni posti per incontrare il classico frequentatore di Pattaya: maschio occidentale, abbronzato e tatuato, canotta, calzoni corti, capelli rasati per nascondere inutilmente la calvizie, corporatura abbondante e pancia da birra. A suo fianco l'acccompagna una ragazza thailandese che avra' venti anni meno di lui. Tento un difficile lavoro di fantasia ma non riesco ad immaginarmi questo individuo nel suo paese di origine; cerco di pensare che impiego potrebbe svolgere con la maggiore cattiveria possibile ma e' inutile, il lavoro e' troppo una cosa seria. Dalla finestra del mio alloggio questa mattina vedevo uomini vagare soli come zombie, anzi, come vampiri da film di serie B che fuggono dalla luce del giorno per rintanarsi nei loro lussuosi alberghi dopo una notte di alcol e 'Amore senza amore' (G. Marquez) in qualche hotel dalle pareti sporche con lenzuola rammendate da buchi di brace di sigaretta.

Il bus scorre veloce sotto questo cielo paziente zeppo di nuvole, anche se presto dovra' arrendersi alla periferia di Bangkok, dove il traffico infernale della citta' degli angeli rallentera' fino quasi ad azzerare il suo incedere. Quanti passeggeri, quante speranze e quanta solitudine piu' o meno infangata dovra' ancora portare?
 
Creative Commons License
Travel Viaje Viaggio Voyage by Dr. Stefano Marcora is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at travel-ontheroad.blogspot.com.