domenica 19 luglio 2009

Frammenti di viaggio 3: KL



Cammino a ritroso lungo qualcosa di imprendibile che sta dentro di me. Lo splendido congegno del viaggio si è impossessato ancora della mia persona.
I giorni a Kuala Lumpur scorrono nel traffico e nel caldo infinito, camminando tra persone e visitando luoghi.
KL e' una citta' con il sottofondo sonoro perenne.
Come diversi suoi negozi aperti 24 ore su 24, l'incessante e sordo rumore del traffico e' senza fine. Pare essere immersi in qualche montaggio video dove si alterano a velocita' incredibili notte e giorno di un particolare luogo. Il suono di autobus-skytrain-metro-camion-auto-moto sono la regola e non hanno né termine né inizio. Eccezion fatta per i suoi parchi urbani e suburbani, ovunque vai sei accompagnato dall'urlo invasivo del traffico. Quasi tutti gli altri suoni che escono dal mosaico della citta' paiono alieni; per pura fortuna sono riuscito ad isolare uno sporadico canto di uccelli.

Questa mattina sono sceso dal mio ostello economico dalle pareti di cartongesso, ho respirato l'aria umida e malsana della citta', ho fatto qualche passo e sono entrato in un locale tenuto da indiani. Individuata una ventola disponibile, mi son piazzato sotto, e poi ho ordinato un caffe' con latte condensato. Un ringgit e 20 cent. Prezzo giusto.
Allungandomi verso la fermata del metro di Jamek Masjid capisco che oggi fara' caldo: la mia schiena e la fronte sono gia' abbondantemente invasi dal sudore. Oggi voglio visitare il centro economico di Kuala Lumpur: KLCC. Poche fermate di metro e mi trovo a cospetto delle gigantesche Petronas towers. Uso la parola "cospetto" perche' la loro altezza, architettura e l'imponenza le fanno apparire per quello che realmente sono: moderni castelli eretti per manifestare il potere. Turisti in gregge escono dal bus per immortalarne la possanza. Il centro commerciale di lusso annesso e la sua aria condizionata sono il passo successivo.
Tutta l'area e' vigilata dalla polizia: l'lndonesia non e' poi cosi' lontana. Proseguo per visitare il parco di Bukit Nanas e poi torno a Chinatown a piedi. In una stretta via del quartiere cinese raggiungo una bancarella del cibo. Oggi mangio malese puro (il malese-cinese la sera). La signora del ristorantino sorride, poi mi passa un piatto piano di plastica ricoperto di riso bollito a cui aggiungo peperoni e delle seppie. Mi siedo. Accanto a me prendono posto tre donne con il velo. Due giovani con il velo viola e la tunica nera e una signora anziana tutta nera. Le guardo con compassione. Le due ragazze mi lanciano qualche occhiata incuriosita.

Prima di tornare nell'ostello dalle pareti di cartongesso acquisto mezzo chilo di rambutan rossi che accompagnero' alla mia birra serale.

lunedì 13 luglio 2009

Frammenti di viaggio 2: Tioman



L'isola malese di Tioman e' un luogo incantevole. Oltre al mare affascinante, ieri ho fatto un passeggiata (un "trekking nella giungla") da un estremo all'altro dell'isola. 12 chilometri tra andata e ritorno con un dislivello di 330 metri.
Visto il caldo diurno e l'umidita' mi sono svegliato dopo l'alba (6:30) e subito ho imboccato il sentiero che da Tekek porta a Juara. Ho voglia di incontrare qualche animale.
Il sentiero si inerpica quasi subito tra felci gigantesche, palme, piante rampicanti e alberi pregiati. Nello zaino ho acqua, macchina fotografica, occhiali, crema e poco altro. Indosso pantaloni lunghi e scarpe di gomma. Salgo piano per assorbire l'essenza della foresta e tutta la (bio)diversita' che essa emana. Cerco di non fare troppo rumore; ho l'impressione di essere l'unico essere umano nei dintorni. Quasi subito sento qualcosa di abbastanza grosso che si allontana dalle vicinanze del sentiero. Sudo molto anche se la mobilita' e' lenta.
Ad un certo punto, quasi sul crinale della collina, mi trovo al cospetto di una serie di alberi secolari meravigliosi. Li guardo, li tocco, cerco di capire se sono mogano, palissandro o altro ancora. Respiro profondamente l'aria leggermente sulfurea e carica del bosco, ascolto gli uccelli dai richiami esotici e gli schiamazzi delle scimmie.
Dopo aver ammirato uno scoiattolo dal manto davvero particolare, e' la volta che intravedo un grosso serpente che si allontana velocemente.


Eccoci, la salita e' fatta, presto la collina declinera' verso il piccolo villaggio di Juara. Mi risciacquo il viso presso un ruscello e rialzo il capo.
In quel momento, con le gocce di acqua tiepida che mi scorrono sul volto, mi rendo conto di essere in straordinaria sintonia con l'ambiente che mi circonda. Lo spettro che soffriva dei piccoli pregiudizi verso ciò che e' alieno e sconosciuto e' svanito con l'incontro.
Questa Natura primordiale e' quella da cui proveniamo; il distacco da Essa contribuisce a misurare la lontananza da noi stessi.

lunedì 6 luglio 2009

Frammenti di viaggio 1: Singapore

Il flusso del viaggio mi penetra come una droga dolce ed improbabile. Mi sono appena detto: "Mi sembra di essere in viaggio da un mese." Invece sono appena partito. Incredibile come la marea del viaggio mi abbia subito assorbito. A differenza di altre volte, quel tempo di mezzo che lambisce la partenza, colpisce il transito e l'immediato arrivo si e' assottigliato in modo significativo. Nelle ore antecedenti la partenza mi sentivo strano, come combattuto tra un languido istinto di non cambiare le cose quasi che andando via le perdessi e la potenza del Viaggio che ormai era imminente.

CRONACA: Arrivo verso le 22,30 a Singapore. Sky train, metropolitana, pulizia estrema, fines, aria condizionata quasi ovunque. Organizzazione magistrale che rasenta l'eccesso. Dopo aver attraversato mezza citta' con la metro, giungo prima di mezzanotte nell'ostello familiare che avevo contattato. Trovo la strada subito ma... al numero civico 23 non vedo nessuna insegna. O meglio l'insegna c'e' e indica una societa' di import-export: chiedo a due indiani in un negozio vicino ma nessuno sa dirmi di piu'. A questo punto busso al 23 e poi apro la porta d'entrata che e' socchiusa; dentro scorgo l'insegna  della guest house. Bene. Una volta entrato chiamo ma nessuno risponde; ad un certo punto passa un francese che mi dice che Ali, il proprietario, era li' qualche minuto  prima. Aspetto ancora un poco, poi mi piazzo a dormire in un divano posto nel salotto dell'ostello. Il caldo e' abbastanza forte, sono stanco e voglio riposare.
Il mattino dopo conosco Ali, un cinese molto simpatico che da generazioni abita a Singapore, il quale si scusa per l'inconveniente. Nessun problema, sono solo voglioso di sporgermi per cadere nella metropoli brulicante che mi si muove attorno.
Singapore mi piace. Citta' stato ricchissima, estrema, dove la maggioranza benestante cinese convive con malesi, indiani e altre cuture asiatiche. Passeggiando per Little India e attivando al massimo i sensi parrebbe di stare in una qualsiasi citta' indiana, ma poi ti accorgi che il caos e' controllato piutosto efficacemente. Riesco quasi a distinguere i (tanti) indiani di recente immigrazione dagli indiani nativi di Singapore. Ora vedo una donna in sari, poi un ragazzo vestito hip hop, di seguito un uomo con il copricapo dei musulmani accompagnato da una donna trasfigurata dai vestiti, quindi una giovane cinese in minigonna ed abiti attillati; tutto pare conviva in modo fluido. La mattina, dal divano dell'ostello di Ali, avevo sentito il muezzin che chiamava alla preghiera. 
Il quartiere cinese e' forse la parte piu' interessante della citta'. Prendo il metro e scendo nella fermata del centro, esco e, gia' sudato, mi trovo a camminare tra grattacieli incredibili. Percorro una via e giungo in un templio buddhista gravido di incensi e simboli religiosi. Ancora poochi passi ed il  panorama cambia radicalmente: dai 200-300 metri dei grattacieli ai... due piani dell'antico quartiere cinese colmo di ristorantini take away, negozi per turisti e ancora sedi di uffici. Verso mezzogiorno vado in uno di quelli che qui chiamano 'Food court': un'infinita' di ristoranti contigui tra loro a prezzi economici. Guardo un poco in giro e poi opto per una zuppa con noodle grossi, tofu, e verdura. Pago i due dollari di Singapore, aggiungo un poco di salsa di soya, prendo le bacchette ed il cucchiaio e mi metto a mangiare. Nonostante sia qualche anno che non uso i bastoncini devo dire che non faccio troppo ridere. Mangio tranquillo tra la gente armeggiando con il tofu e le bacchette mentre la ventola sopra di me dona un refrigerio minimale. E' proprio vero: sono partito da pochissimi giorni eppure...

mercoledì 1 luglio 2009

Partenza

Partire è perdere
separarsi da qualcosa
partire è scomparire
smarcarsi
non esserci più.

Dopo un anno si riparte.
Ma prima ancora si avvia la strana capacità cognitiva che riassembla una serie di mattoncini che si congiungono tra loro in modo casuale; peduncoli di ricordi, pratiche e situazioni rimasti sessili lungo una manciata di mesi.

Evviva, la Potenza del Viaggio chiama, ora è impossibile tornare indietro.
In pochi istanti salgono alla mente una babele di sapori, suoni, sensazioni, odori, ma soprattutto l'impellenza di essere sul bordo di ciò che abitualmente mi definisce per tuffarmi di colpo nell'alterità autentica e più ricercata. I gustosissimi frutti che portano il nome di rambutan, i durian, il caldo infinito, la gente, l'adattamento, la fatica... sono ora dissepolti.

Adesso posso entrare nel flusso lisergico del viaggio per perdermi dentro me stesso, ritrovandomi diverso ed un poco rinnovato. Ogni partenza significativa appare come la ricapitolazione di una storia personale.
E poi il movimento, sì, lo spostamento nello spazio che ringiovanisce.

Il saggista statunitense John Knowles scrisse nel 1964, dopo una lunga esperienza in Europa: "L'ultimo rutto d'America s'era spento sul margine esterno della Laguna veneziana e mentre mi muovevo sul mare Adriatico fermo, appesantito dal sole, me n'ero proprio andato. Era una sensazione di rinnovamento, anche dolce, come un ritorno a una primissima giovinezza; c'era una sensazione di mattino, e addirittura di innocenza."

E' proprio così, un mattino dolce, venato a volte da tratti lattiginosi di acidità e di sudore, è alle porte.
 
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