lunedì 6 luglio 2009

Frammenti di viaggio 1: Singapore

Il flusso del viaggio mi penetra come una droga dolce ed improbabile. Mi sono appena detto: "Mi sembra di essere in viaggio da un mese." Invece sono appena partito. Incredibile come la marea del viaggio mi abbia subito assorbito. A differenza di altre volte, quel tempo di mezzo che lambisce la partenza, colpisce il transito e l'immediato arrivo si e' assottigliato in modo significativo. Nelle ore antecedenti la partenza mi sentivo strano, come combattuto tra un languido istinto di non cambiare le cose quasi che andando via le perdessi e la potenza del Viaggio che ormai era imminente.

CRONACA: Arrivo verso le 22,30 a Singapore. Sky train, metropolitana, pulizia estrema, fines, aria condizionata quasi ovunque. Organizzazione magistrale che rasenta l'eccesso. Dopo aver attraversato mezza citta' con la metro, giungo prima di mezzanotte nell'ostello familiare che avevo contattato. Trovo la strada subito ma... al numero civico 23 non vedo nessuna insegna. O meglio l'insegna c'e' e indica una societa' di import-export: chiedo a due indiani in un negozio vicino ma nessuno sa dirmi di piu'. A questo punto busso al 23 e poi apro la porta d'entrata che e' socchiusa; dentro scorgo l'insegna  della guest house. Bene. Una volta entrato chiamo ma nessuno risponde; ad un certo punto passa un francese che mi dice che Ali, il proprietario, era li' qualche minuto  prima. Aspetto ancora un poco, poi mi piazzo a dormire in un divano posto nel salotto dell'ostello. Il caldo e' abbastanza forte, sono stanco e voglio riposare.
Il mattino dopo conosco Ali, un cinese molto simpatico che da generazioni abita a Singapore, il quale si scusa per l'inconveniente. Nessun problema, sono solo voglioso di sporgermi per cadere nella metropoli brulicante che mi si muove attorno.
Singapore mi piace. Citta' stato ricchissima, estrema, dove la maggioranza benestante cinese convive con malesi, indiani e altre cuture asiatiche. Passeggiando per Little India e attivando al massimo i sensi parrebbe di stare in una qualsiasi citta' indiana, ma poi ti accorgi che il caos e' controllato piutosto efficacemente. Riesco quasi a distinguere i (tanti) indiani di recente immigrazione dagli indiani nativi di Singapore. Ora vedo una donna in sari, poi un ragazzo vestito hip hop, di seguito un uomo con il copricapo dei musulmani accompagnato da una donna trasfigurata dai vestiti, quindi una giovane cinese in minigonna ed abiti attillati; tutto pare conviva in modo fluido. La mattina, dal divano dell'ostello di Ali, avevo sentito il muezzin che chiamava alla preghiera. 
Il quartiere cinese e' forse la parte piu' interessante della citta'. Prendo il metro e scendo nella fermata del centro, esco e, gia' sudato, mi trovo a camminare tra grattacieli incredibili. Percorro una via e giungo in un templio buddhista gravido di incensi e simboli religiosi. Ancora poochi passi ed il  panorama cambia radicalmente: dai 200-300 metri dei grattacieli ai... due piani dell'antico quartiere cinese colmo di ristorantini take away, negozi per turisti e ancora sedi di uffici. Verso mezzogiorno vado in uno di quelli che qui chiamano 'Food court': un'infinita' di ristoranti contigui tra loro a prezzi economici. Guardo un poco in giro e poi opto per una zuppa con noodle grossi, tofu, e verdura. Pago i due dollari di Singapore, aggiungo un poco di salsa di soya, prendo le bacchette ed il cucchiaio e mi metto a mangiare. Nonostante sia qualche anno che non uso i bastoncini devo dire che non faccio troppo ridere. Mangio tranquillo tra la gente armeggiando con il tofu e le bacchette mentre la ventola sopra di me dona un refrigerio minimale. E' proprio vero: sono partito da pochissimi giorni eppure...

mercoledì 1 luglio 2009

Partenza

Partire è perdere
separarsi da qualcosa
partire è scomparire
smarcarsi
non esserci più.

Dopo un anno si riparte.
Ma prima ancora si avvia la strana capacità cognitiva che riassembla una serie di mattoncini che si congiungono tra loro in modo casuale; peduncoli di ricordi, pratiche e situazioni rimasti sessili lungo una manciata di mesi.

Evviva, la Potenza del Viaggio chiama, ora è impossibile tornare indietro.
In pochi istanti salgono alla mente una babele di sapori, suoni, sensazioni, odori, ma soprattutto l'impellenza di essere sul bordo di ciò che abitualmente mi definisce per tuffarmi di colpo nell'alterità autentica e più ricercata. I gustosissimi frutti che portano il nome di rambutan, i durian, il caldo infinito, la gente, l'adattamento, la fatica... sono ora dissepolti.

Adesso posso entrare nel flusso lisergico del viaggio per perdermi dentro me stesso, ritrovandomi diverso ed un poco rinnovato. Ogni partenza significativa appare come la ricapitolazione di una storia personale.
E poi il movimento, sì, lo spostamento nello spazio che ringiovanisce.

Il saggista statunitense John Knowles scrisse nel 1964, dopo una lunga esperienza in Europa: "L'ultimo rutto d'America s'era spento sul margine esterno della Laguna veneziana e mentre mi muovevo sul mare Adriatico fermo, appesantito dal sole, me n'ero proprio andato. Era una sensazione di rinnovamento, anche dolce, come un ritorno a una primissima giovinezza; c'era una sensazione di mattino, e addirittura di innocenza."

E' proprio così, un mattino dolce, venato a volte da tratti lattiginosi di acidità e di sudore, è alle porte.

venerdì 12 settembre 2008

In avvicinamento a Kathmandu

Dopo aver vagato per diversi giorni tra giungle, montagne e gente cordiale affatto impicciona, sono sceso a sud, lasciando cosi' il Sikkim e le sue poco turistiche lande.
Purtroppo la pioggia persistente non mi ha concesso molto, così l'altro giorno ho preso una jeep collettiva che mi ha portato ancora una volta nel caos "dell'India verace" di Siliguri.

La mattina dopo mi sono svegliato presto e ho fermato un minibus che, a detta del bigliettaio, era un non-stop diretto alla contigua frontiera nepalese. La storia si ripete: si trattava di un bus locale che si fermava ad ogni istante per avere piu' passeggeri possibile. Per rendere ancora piu' piacevole il viaggio, ci si è messo anche il bigliettaio che, pensando non conoscessi il prezzo del biglietto, non voleva darmi il resto. Un po' arrabbiato sono giunto alla frontiera nepalese, ma ormai il nuovo passaggio verso le terre alte mi attendeva.

La prima citta' nepalese nel confine autorizzato agli stranieri e' Kakabhitta, nella zona sud-est e tropicale del Nepal. A questo punto ero informato che le cose non erano cosi' facili per raggiungere la capitale; le inondazioni causate dalle forti piogge monsoniche che nello stato indiano del Bihar hanno provocato molte vittime, anche in Nepal avevano fatto disastri, distruggendo il ponte sul fiume Koshi e quindi bloccando la mobilita' in mezzo Paese.
In poco tempo sono stato costretto a cercare un volo diretto per Kathmandu.

L'aeroporto di Kakabhitta è qualcosa di speciale con i controlli e le modalita' d'imbarco realizzati manualmente. Qui ho conosciuto Anitha, una ragazza nepalese che mi ha aiutato per le traduzioni. Prima di imbarcarci mi raccontava che due mesi prima il volo per Kathmandu era stato cancellato causa maltempo.
L'aereo a elica della Yeti air ci ha accompagnato a destinazione senza problemi. Per limitare il rumore interno all'aereo le hostess offrivano cotone idrofilo per le orecchie.
Alle due del pomeriggio ero nella capitale.

lunedì 1 settembre 2008

Dal Bangladesh al Sikkim

Quando è stato il primo viaggio, l'iniziazione verso ciò che libera? Credo a 18 anni in un autostop solitario, dormendo in case raminghe, oppure ai bordi della strada sotto il cielo del mondo.

Questa volta, il passaggio repentino dalla Lombardia a Dhaka e' stata una nuova, eccitante sfida. Non la piu' difficile (l'America Latina ed io -ventitreenne- in solitaria) ma sicuramente un'esperienza ricca.
In Bangladesh ho avuto la fortuna di conoscere in prima persona esperienze innovative e realta' diverse, osservando i mondi che ci attorniano e venendo a contatto diretto con molte persone; in modo consapevole ho cercato di assorbire qualcosa di utile anche per il mio lavoro di formatore.

In questo ristorante di Ravangla, nel Sikkim occidentale, ora non sento piu' il caldo incredibile della pianura e di Dhaka, in cambio ricordo vivamente il quartiere e la casa di bambu' di Lucio, i volti, l'accoglienza e la gentilezza estrema dei bengalesi.
La porta di questo locale a Ravangla e' aperta e vedo entrarvi la nebbia del monsone; duemila metri piu' sotto e tante centinaia di chilometri verso sud, i bambini di strada di Dhaka li percepisco lontani, ma non sono affatto scomparsi e le loro tortuose vite continuano. In questo mondo dove sono decine di milioni i bambini lavoratori, la tristezza che ne deriva e' infinita, per fortuna che ci sono tanti Jackline, Lota, Lucio, Coco...
Accanto a me un gruppo di uomini beve rum made in Sikkim allungato con acqua.

Questa mattina ho fatto un'ottantina di chilometri nel cuore del Sikkim (SK), da Gangtok a Ravangla. Per entrare nella regione bisogna ottenere un permesso speciale dal governo indiano, causa la sensibililita' con il confine tibetano. Molte zone del nord SK sono off limits per gli stranieri. In Sikkim la popolazione e' fortemente influenzata dalla cultura nepalese-tibetana, sembra non trovarsi in India. Per spostarsi tra le verdissime montagne si utilizzano jeep collettive Tata. In questa stagione dove il monsone sta per declinare, le strade sono ancora dissestate per le piogge e le numerose frane che spesso bloccano la mobilita' a motore. In due ore siamo scesi a 350 metri, per poi risalirne altri 2000 guadando torrenti e schivando massi franati da poco. Dal finestrino vedevo palme, scimmie, bambu', fiori sgargianti e poi piantagioni di the, riso e piccoli frutteti. Sulla strada c'erano uomini e donne che tagliavano l'erba e bambini che andavano a scuola con le loro divise scolastiche. Anche se non sono appassionato di auto e ferraglie motorizzate varie, e' davvero eccitante andare in jeep su questo territorio immerso nella giungla e poi dalla vegetazione di alta montagna; sembra un rally tra i monti e il terreno accidentato. Ma forse lo e' veramente, solo che la gente usa queste solide jeep per spostarsi e non per giocare a chi guida meglio.

Ad una cinquantina di chilometri da qua, al confine col Nepal, c'e' la terza montagna del mondo, il Kangchenjunga. Purtroppo non riesco a vederla perche' il monsone la copre con insistenza. Chissa' se il dio delle nuvole mi offrira' la visione dell'Himalaya?
Prossima tappa Pelling, Sikkim, e poi verso il Nepal.
 
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